Caro Sacchi, si sieda e legga la storia della Juventus e del suo gioco

Le epopee di Trapattoni e Lippi: squadre che dominavano in Italia, in Europa e nel Mondo, guidate da tecnici leggendari che hanno fatto la storia del calcio
Caro Sacchi, si sieda e legga la storia della Juventus e del suo gioco

Arrigo Sacchi, da allenatore, ha vinto uno scudetto, due coppe dei campioni, due supercoppe Europee e coppe Intercontinentali: per le idee di gioco con cui ha raggiunto tali risultati, è ritenuto a livello mondiale uno dei più importanti tecnici dell’era moderna, uno dei pochi che hanno davvero cambiato il calcio. Il necessario immenso rispetto che si deve a uno sportivo così qualificato non può però impedire di giudicare scrupolosamente le sue reiterate e convinte affermazioni circa il gioco, le modalità di arrivare alla vittoria, la storia della Juventus e così via.

L’ultima in ordine cronologico, rilasciata solamente pochi giorni fa, si riferisce proprio ai bianconeri: “la Juventus storicamente non ha mai toccato vette eccelse di gioco. In passato la Juve ha vinto per la potenza economica e politica, non per il gioco”. Ora, basterebbero queste poche righe per comprendere che il Sacchi allenatore è stato certamente più preciso e innovativo rispetto a certe sue esternazioni da commentatore. La storia, il gioco, la potenza economica e politica: difficile perfino scegliere da dove partire.

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Caro Sacchi, legga la storia della Juventus

Cominciamo dalla Juve, dal vecchio dibattito sulla sua storia e il suo approccio per arrivare alla vittoria: senza addentrarci in tempi difficili da ricostruire per chi non li ha vissuti (dal celeberrimo Quinquennio degli anni 30 all’epopea di Sivori, Charles e Boniperti), è necessario partire dall’era trapattoniana in cui i bianconeri hanno vinto letteralmente tutto in Italia, in Europa e nel mondo: la sua Juve, dicono i detrattori, aveva una mentalità sparagnina e vinceva solamente grazie alle individualità. Premesso che, se davvero si potesse vincere ogni trofeo a disposizione semplicemente grazie alla bravura dei giocatori, il ruolo degli allenatori – Sacchi incluso – sarebbe irrimediabilmente sminuito, e concesso che molto spesso, una volta in vantaggio, il Trap pensava più a conservare il successo che a dominare i rivali, denigrare quella squadra vuol dimenticare la formazione zeppa di attaccanti e di qualità (Bettega Rossi Platini Boniek) e una serie di record sensazionali, dai 51 punti più Coppa Uefa alla vittoria in in Inghilterra, in casa dei campioni d'Europa in carica dell'Aston Villa, in tempi in cui quell’impresa era considerata ai limiti dell’impossibile.

Il 3-0 al Bordeaux – certo, c’è anche la sofferenza atroce nel ritorno -, la meravigliosa partita di Tokyo in cui meriterebbe di vincere nei tempi regolamentari ma trionfa ai rigori dopo non avere mollato mai, la seconda stella conquistata al ventesimo scudetto vinto sul campo (al giorno d’oggi la cosa può sorprendere), la solidità e la ferocia di una squadra che non permetteva ai rivali la minima distrazione ma anche i 7-0 all’Ascoli e ai polacchi in Coppa delle Coppe e così via. Una squadra leggendaria che è quantomeno sbrigativo definire sparagnina: non rivoluzionaria, certo, ma certamente una delle più forti della storia, la prima a vincere tutti i titoli possibili, per questo meritevole di una apposita e unica targa UEFA,  che aveva il difetto di arretrare dopo avere conquistato meritatamente vantaggi più o meno cospicui.

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L'epopea di Lippi, leggenda che non pontifica

Da lì in poi, dopo avere ricordato gioiosamente la truppa di Zoff che si fa beffe del super Milan di Sacchi tutto con il braccio alzato mentre l’eroico Galia buca l’intera difesa e conquista San Siro e l’Uefa dominata dalla Juve proprio del Trap tornato in casa, arriva la straordinaria epopea di Marcello Lippi, che dimostra di saper vincere in Italia, in Europa e nel mondo dominando, con un gioco spettacolare e meno rigido rispetto alla rigida zona sacchiana, raggiunge la finale di Champions per 3 volte consecutive, domina ad Amsterdam e in ogni campo, diventa il punto di riferimento perfino del  fantastico Manchester United di Ferguson, ogni anno perde i migliori giocatori, gliene prendono altri, poi va via, ritorna dopo anni ed è sempre lì, altri scudetti e altra finale di Champions, persa ai rigori senza il miglior giocatore della squadra. Lascia la Juve, va in Nazionale e vince i Mondiali. Lascia l’Europa e vince tutto in Cina e in Asia. Un mito di questo sport.

 

Dal suo addio al calcio, tuttavia, non lo leggiamo pontificare quotidianamente per demolire ogni proposta di gioco che non sia strettamente affine alla sua. Restando alla Juventus, vivremo poi la splendida squadra di Conte, imbattuta e aggressiva, record storico di punti in campionato e le prime di Allegri, tra un 7-0 al Parma, un 3-0 al Barcellona e due finali di Champions raggiunte superando le più forti squadre del continente, salvo poi arrendersi ai mostri in finale. Raggruppare tutte queste incredibili esperienze in un quantomeno superficiale “non ha mai toccato vette eccelse di gioco”, spiega bene la differente caratura tra il Sacchi allenatore e commentatore, che guarda con supponenza chiunque vinca in un modo diverso dal suo, dall’Allegri 2014/15 che pochi mesi dopo le sue critiche per una sconfitta con l’Atletico avrebbe poi rischiato di vincere tutti i trofei a disposizione fino a Inzaghi protagonista della grande stagione interista.

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Da Baggio mal sopportato ai fallimenti successivi

Ci sarebbe poi quel discorso della forza politica ed economica, quella che ahilui non ha evidentemente mai avuto il suo presidente Berlusconi, il quale, del tutto sprovvisto di rapporti importanti e di denaro, si limitava ad acquistare giocatori di scarso valore quali Gullit, Rijkard, Van Basten, Donadoni e compagnia. Le innovazioni tattiche, certo; la voglia di non limitarsi a difendere ma imporre il proprio gioco anche a Madrid, ottenendo vittorie epocali, ci mancherebbe; i trofei alzati e le partiti indimenticabili, quanti meriti straordinari, ma anche la miracolosa nebbia di Belgrado quando il suo primo Milan europeo era a un passo dall’eliminazione negli ottavi di una Coppa che poi avrebbe vinto in finale con lo Steaua, in anni in cui le inglesi erano squalificate per le noti tristi vicende targate hooligans.

Pur tralasciando la sempre anomala esperienza da selezionatore della Nazionale (con un Mondiale perso solo in finale ma trascinato dal suo uomo migliore e da lui mai troppo amato, Roberto Baggio, e due anni dopo l’uscita già nel girone degli Europei contro la Repubblica Ceca, con troppo turnover e Vialli a casa), viene da chiedersi se i tifosi di Parma e Atletico Madrid, sue squadre successive, avranno di lui lo stesso entusiastico ricordo che ne avevano i tifosi del Milan.

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La Juve, una squadra senza gioco da cui prendere sei gol...

E riguardo a questi ultimi, avranno apprezzato le idee di gioco di Arrigo anche quando, tornato a Milanello anni dopo senza i magici olandesi, viene strapazzato ovunque, dal Rosenborg, nel derby milanese e perfino da quella Juve che storicamente non ha gioco ma un giorno gli ha rifilato un indimenticabile 1-6? Esperienza negativa dovuta alla scarsa potenza politica ed economica de presidente Berlusconi delle 3 televisioni, capo del governo o dell’opposizione di quegli anni, del Galliani inesperto nel muoversi nel mondo del calcio? Nulla potrà sminuire la carriera e le idee di Arrigo Sacchi allenatore, autentica leggenda di questo sport.

Ma di fronte ai suoi commenti tesi a svalutare la storia e la tradizione di club gloriosi o le idee di allenatori importanti e vincenti, sarebbe bello che a volte tra gli interlocutori incontrasse uno con un po’ di coraggio, un Rosenborg o una Juve di Lippi, pronto a ricordargli che avere delle idee innovative con Gullit, Rijkard e Van Basten è un conto, ma se una sera primaverile a San Siro alleni Blomqvist e Dugarry, magari prendi 6 gol da quella squadra storicamente senza gioco, che quel giorno si era presentata a Milano senza gli assenti Montero, Torricelli, Deschamps, Conte, Del Piero e Padovano.

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Arrigo Sacchi, da allenatore, ha vinto uno scudetto, due coppe dei campioni, due supercoppe Europee e coppe Intercontinentali: per le idee di gioco con cui ha raggiunto tali risultati, è ritenuto a livello mondiale uno dei più importanti tecnici dell’era moderna, uno dei pochi che hanno davvero cambiato il calcio. Il necessario immenso rispetto che si deve a uno sportivo così qualificato non può però impedire di giudicare scrupolosamente le sue reiterate e convinte affermazioni circa il gioco, le modalità di arrivare alla vittoria, la storia della Juventus e così via.

L’ultima in ordine cronologico, rilasciata solamente pochi giorni fa, si riferisce proprio ai bianconeri: “la Juventus storicamente non ha mai toccato vette eccelse di gioco. In passato la Juve ha vinto per la potenza economica e politica, non per il gioco”. Ora, basterebbero queste poche righe per comprendere che il Sacchi allenatore è stato certamente più preciso e innovativo rispetto a certe sue esternazioni da commentatore. La storia, il gioco, la potenza economica e politica: difficile perfino scegliere da dove partire.

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