Superlega, occhio a Szpunar: “L’Uefa ha dei conflitti d’interesse”

Il Primo Avvocato Generale della Corte Ue nel suo parere sul caso Anversa scrive argomentazioni pesanti

E se dove non sono riuscite Real Madrid, Barcellona e Juventus riuscisse l’Anversa? La spallata che il club belga ha assestato all’Uefa è infatti molto più violenta e pericolosa del progetto Superlega. Probabilmente non sono in molti ad aver letto tutto il parere del primo avvocato generale della Corte di Giustizia Europea, Maciej Szpunar, sul caso posto dal club belga e da un suo giocatore (che rimane anonimo). Eppure meriterebbe la massima attenzione, perché contiene riflessioni e suggerimenti alla Corte potenzialmente esplosivi come l’affermazione, perentoria, nella quale si dice che «l’Uefa e l’Urbsfa (la federcalcio belga) esercitano funzioni sia regolamentari che economiche e, poiché queste funzioni non sono separate, è inevitabile che sorgano conflitti di interesse». Sembra di leggere un discorso di Berndt Riechart, amministratore delegato della Superlega, ma è un estratto del parere del primo avvocato generale della Corte depositato qualche giorno fa. Passo indietro: il ricorso alla Corte di Giustizia Europea da parte del calciatore e del club fiammingo si incentra sulle regole per la compilazione delle liste per le competizioni domestiche e internazionali. Nella fattispecie sulla norma dei quattro “home trainend player” (detti anche home grown) obbligatori: si tratta di quei giocatori che l’Uefa definisce come «formati localmente» ovvero quelli che «indipendentemente dalla loro nazionalità, sono stati formati dal loro club o da un altro club della stessa federazione nazionale per almeno tre anni, tra i 15 e i 21».

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La questione

Questa regola, secondo i ricorrenti, infrange l’articolo 48 del Trattato dell’Unione sulla libera circolazione dei lavoratori (un déjà-vu per l’Uefa che su quell’articolo si ruppe il naso con la sentenza Bosman), perché favorisce i club che militano in grandi federazioni rispetto a quelli di piccole federazioni e impedisce una libertà di movimento dei calciatori fra le varie nazioni europee, attraverso la blindatura dei posti riservati a chi è cresciuto in una certa federazione. Un tema complesso e solo apparentemente secondario, perché influisce in modo significativo sul calciomercato (ci sono giocatori che vengono scelti dai club proprio perché hanno quelle caratteristiche burocratiche, anche a dispetto di una valutazione puramente tecnica). Il nocciolo della questione, per l’Uefa e il futuro del calcio europeo, è però nelle considerazioni più generali del cinquantunenne avvocato polacco Szpunar. Uno degli argomenti sviluppati in modo molto ampio da Szpunar è, infatti, l’articolo 165, che tratta l’istruzione, i giovani e lo sport all’interno del Trattato dell’Unione e che nel parere sul caso Uefa-Superlega del suo collega Ranthos, era stato il muro difensivo eretto a difesa del monopolio dell’Uefa. Sosteneva Ranthos che, sì, era effettivamente un monopolio, ma ammesso in nome dell’autonomia dello sport e della promozione del modello europeo dello sport, garantiti dall’aticolo 165.

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Cosa dice Szpunar

Beh, Szpunar letteralmente demolisce questo ragionamento dal punto 48 al punto 53 del suo parere. Spiegando che la promozione del modello europeo dello sport non può essere demandata all’Uefa (e alla Urbsfa) in quanto soggetti privati, nella misura in cui disciplinano lavoro retribuito in modo collettivo, non perseguono né attuano una politica dell’Unione. E specificando che «tale attività spetta al legislatore dell’Unione». Fa poi notare come «L’Uefa e l’Urbsfa cercano invece di invocare un obiettivo di ordine pubblico per giustificare una restrizione a una libertà fondamentale» e che «non spetta all’Uefa o all’Urbsfa attuare l’azione dell’Unione ai sensi dell’articolo 165. Si tratta di soggetti privati che esercitano funzioni economiche, oltre che normative». E se «sono ovviamente libere di proclamare – secondo il proprio giudizio – un modello sportivo europeo sulla base dell’articolo 165 o di altre norme; ciò non significa, tuttavia, che le funzioni spettanti alle istituzioni dell’Unione siano esternalizzate in un modo o nell’altro all’Uefa». Insomma, prosegue: «Non possono ottenere un assegno in bianco ai fini delle restrizioni alla libertà fondamentale di cui all’articolo 45 facendo riferimento all’articolo 165. Le restrizioni di questa libertà fondamentale da parte di soggetti come l’Uefa e l’Urbsfa devono essere valutate come tutte le altre restrizioni, in base ai principi ordinari».

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Il parere

Se l’articolo 165 è il baluardo con cui difendere il monopolio dell’Uefa sulle competizioni calcistiche europee, il parere di Szpunar potrebbe essere esiziale se tenuto in considerazione dalla Corte Europea. Così come un altro passaggio piuttosto pesante: «Tuttavia, è importante ricordare che – contrariamente a uno Stato membro in quanto soggetto pubblico – soggetti privati come l’Uefa o l’Urbsfa, coerentemente con i rispettivi scopi, perseguono obiettivi di natura economica. Tali obiettivi possono talvolta essere in conflitto con gli obiettivi pubblici. Inoltre, l’Uefa e l’Urbsfa esercitano funzioni sia regolamentari che economiche. Poiché queste funzioni non sono separate, è inevitabile che sorgano conflitti di interesse. In altre parole, l’Uefa e l’Urbsfa si comporterebbero in modo irrazionale se cercassero di promuovere obiettivi pubblici direttamente contrastanti con i loro interessi commerciali». Questa affermazione applicata al caso Superlega suona così: se «l’obiettivo pubblico» è la libera concorrenza garantita dal Trattato (art. 101 e 102), potrebbe l’Uefa ammettere una competizione concorrente a quelle da lei organizzate? Nella risposta c’è la chiave per capire qual è il futuro del calcio europeo. Perché Szpunar ha espresso un parere così apertamente in contrasto da quello di Ranthos che si era occupato del caso Superlega? Difficile spiegarlo. Si tratta di una circostanza che gli stessi addetti ai lavori della Corte dicono di non avere mai vissuto. In linea puramente teorica Szpunar è il superiore di Ranthos, ma la questione qui non sembra essere gerarchica. Piuttosto bisognerebbe chiedersi: la Corte, quando deciderà sulla Superlega, di quale parere terrà conto? Probabilmente di entrambi, perché i due casi sono estremamente contigui e il parere del primo avvocato generale non viene mai sottovalutato, anche se - come tutti i pareri degli avvocati generali - non è in nessun modo vincolante per la Corte.

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La partita è aperta

Certo, alcuni punti cardine dell’attacco della Superlega al sistema Uefa, sono stati confermati in modo molto efficace da Szpunar che prima sfila all’Uefa lo scudo dell’articolo 165 e poi la infilza con l’accusa di aver concentrato troppi poteri al punto da creare palesi conflitti di interesse, che Ranthos aveva mascherato con l’ideale difesa del modello europeo dello sport contro il bieco business della Superlega. Il problema sembra ruotare intorno a cosa si ritiene che sia l’Uefa: per la legge è un’associazione privatistica (e così la tratta Szpunar), un soggetto privato che persegue obiettivi di natura economica. In una visione più romantica è il custode dei valori del calcio europeo (cosa che per Szpunar potrebbe continuare a essere, senza tuttavia mantenere al suo interno tutti quei poteri che creano conflitto). Impossibile prevedere come sentenzierà la Corte, che potrebbe farsi aspettare un po’ più del previsto. In molti avevano indicato in marzo/aprile i tempi per il giudizio sulla Superlega. Ora si mormora che potrebbe arrivare in giugno/luglio, per non turbare la stagione sportiva in corso e, chissà, per arrivare in concomitanza con la sentenza sul caso Anversa. Al di là della data, dopo il parere di Szpunar, la partita è quanto mai aperta.

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E se dove non sono riuscite Real Madrid, Barcellona e Juventus riuscisse l’Anversa? La spallata che il club belga ha assestato all’Uefa è infatti molto più violenta e pericolosa del progetto Superlega. Probabilmente non sono in molti ad aver letto tutto il parere del primo avvocato generale della Corte di Giustizia Europea, Maciej Szpunar, sul caso posto dal club belga e da un suo giocatore (che rimane anonimo). Eppure meriterebbe la massima attenzione, perché contiene riflessioni e suggerimenti alla Corte potenzialmente esplosivi come l’affermazione, perentoria, nella quale si dice che «l’Uefa e l’Urbsfa (la federcalcio belga) esercitano funzioni sia regolamentari che economiche e, poiché queste funzioni non sono separate, è inevitabile che sorgano conflitti di interesse». Sembra di leggere un discorso di Berndt Riechart, amministratore delegato della Superlega, ma è un estratto del parere del primo avvocato generale della Corte depositato qualche giorno fa. Passo indietro: il ricorso alla Corte di Giustizia Europea da parte del calciatore e del club fiammingo si incentra sulle regole per la compilazione delle liste per le competizioni domestiche e internazionali. Nella fattispecie sulla norma dei quattro “home trainend player” (detti anche home grown) obbligatori: si tratta di quei giocatori che l’Uefa definisce come «formati localmente» ovvero quelli che «indipendentemente dalla loro nazionalità, sono stati formati dal loro club o da un altro club della stessa federazione nazionale per almeno tre anni, tra i 15 e i 21».

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