Quattro parole per chiudere una storia cominciata venti anni fa. «È giunto il momento». Segue la firma: Rafael Nadal Parera. Una breve frase, lapidaria quanto basta a far riemergere i “coccodrilli” scritti ormai da mesi, che sguazzavano nel grande stagno della commozione. Postumo in vita, anche lui… Gianni Clerici titolò così uno dei suoi libri. I coccodrilli dei giornali sono borsette dove nascondere l’ultimo ricordo dei grandi. Quello di ieri, invece, è l’atto finale di una carriera da vera star, ma è solo un addio ai campi del Tour, non al resto, non al tennis, e nemmeno alla stagione in corso, che si concluderà con la Davis a Malaga. L’ultima Davis di Nadal.
Il saluto di Rafael Nadal
Così, non è stata una sorpresa l’addio giunto con un video che ricorda vittorie e famigliari, parenti e avversari, attraversato qui e là dallo sgambettare di un bimbo bellissimo, che con le racchette del padre gioca a farle cadere come soldatini. Piuttosto, equivale a un ciao, il saluto di un ragazzo che ha imparato a parlare al mondo da Manacor, 40 mila abitanti, nella zona ovest di Maiorca, che Rafa e lo zio Tony hanno avviato a diventare uno dei capisaldi del nostro sport futuro, grazie all’Accademia che sarà insieme scuola per diventare tennisti, e università per professionisti sempre migliori. Nato per il tennis, Rafa Nadal. Anche lui, proprio come Roger Federer. Eppure diverso, lontano. Talmente lontano che viene da pensare sia stato un bisogno di giustizia a promuovere questo secondo avvento tennistico del Duemila, tre anni dopo il primo Slam vinto da Roger. Grazie a Rafa gli opposti si sono serrati, fino a combaciare. Il nero con il bianco, lo yin con lo yang. E il tennis ha assunto la forma di una sfera chiusa, esatta, equilibrata. Come una pallina.