Ci sono mille modi di essere numero uno, re del proprio mondo. E Jannik Sinner ha scelto il più pulito e diretto. Democratico fuori campo, impietoso dentro. Tanto da far apparire del tutto naturale la sua ascesa al trono. Perché Sinner ha oltre 11mila qualità, tante quante i punti conquistati nell’anno tennistico. Predestinato, o quantomeno previsto da tutti fin da quando era ragazzo e il coach e mentore Riccardo Piatti aveva deciso di non fargli girare il mondo per tornei giovanili, cogliendone probabilmente un’età mentale superiore a quella anagrafica. E dall’ingresso nel circuito è stata crescita costante, vertiginosa dopo aver rotto il cordone ombelicale con Piatti stesso per affidarsi a Simone Vagnozzi e poi affiancargli Darren Cahill. Esempio di autodeterminazione. Avvisaglie che il primato potesse arrivare anche prima del previsto c’erano state nel finale della scorsa stagione. Dalla vittoria su Medvedev a Pechino, fino all’epilogo delle Atp Finals torinesi, arrendendosi a Djokovic dopo averlo battuto nei gironi, al trionfo in Davis grazie alla sua cruciale vittoria in rimonta e annullando 3 match point consecutivi ancora a Nole.