Tim Weah ha rilasciato un’intervista al The Athletic, ovvero la sezione sportiva che fa capo al New York Times. L'esterno della Juventus e della nazionale statunitense è a Torino da poco più di un anno: "È una città bella e tranquilla. Non è una città caotica come Milano. O New York, per quel che conta. Penso che sia perfetta per un atleta. Qui si conduce una vita piuttosto semplice". Sui suoi inizi ha dichiarato: "I miei genitori non mi hanno imposto il calcio. È qualcosa che ho finito per fare e basta. Quando ero più giovane, giocavo a basket". Muove i primi passi da calciatore professionista con le giovanili del New York Red Bulls: "Inizialmente il calcio non era una cosa seria. Era un passatempo, non pensavo a una successione con mio padre. Poi è iniziato a diventare serio quando ho cominciato a ricevere le chiamate dalla nazionale giovanile degli Usa. È stato allora che mia madre ha pensato, ‘Ok, potremmo fare qualcosa con questo. Quindi iniziamo a cercare di escogitare un piano".
I primi anni da professionista: dal Chelsea al Psg
"Sono andato a fare un provino al Chelsea quando ero più giovane. Ho trascorso un po’ di tempo lì con Tammy Abraham, Fikayo Tomori, tutti quei ragazzi. Poi sono andato a Tolosa per un provino, che è andato molto bene. Ho finito per giocare contro il Psg ed è così che mi hanno notato. Mi hanno chiesto di andare da loro e, sì, voglio dire, la decisione per me è stata ovvia. Il Psg! Chi non vorrebbe giocare per il Psg? All’epoca, c’erano Zlatan Ibrahimovic, Cavani. Tutti questi grandi giocatori. Quindi ho pensato, sì, voglio assolutamente cogliere l’occasione". Cavani è il suo modello da cui trarre ispirazione: "Il giocatore da cui dovevo imparare a giocare era Cavani. Per me è un numero 9 di prima fascia, uno dei migliori ad aver mai giocato in quella posizione". Sul suo ruolo in campo, Weah ha poi aggiunto: "Non sono il tipico numero 9 che segnerà 15 o 20 gol a stagione. Ma mi piacerebbe arrivare a quel punto. È sicuramente nella mia lista dei desideri".