L'ipocrisia del racconto è andata oltre, arrivando all’ultimo stadio
Quello sì, sarebbe il solito articolo. Magari con una spruzzata di sorrisi sugli acquisti "flop" già certificati alla settima giornata e di complimenti a Motta che dice le cose giuste nel modo giusto, anche se sta imparando a capire che per lui tutto è cambiato rispetto all’anno scorso, quando un rigore negato al suo Bologna contro i cattivi di sempre è diventato il simbolo degli errori arbitrali: quest’anno può parlare con eleganza, ricondurre giustamente colpe e meriti solo alla squadra o far capire che di simulazioni così ne ha viste fischiate poche e spera che d’ora in poi ci sia tolleranza davvero – ben sapendo che non sarà così -, ma in ogni caso in prima pagina finiranno i troppi pareggi e gli acquisti flop, non certo gli errori contro la sua Juve o le sue parole, molto più chiare di come siano state intese e riportate.
Fosse una settimana qualunque, avrei già finito, ma stavolta non si può. Perché l'ipocrisia del racconto è andata oltre, arrivando - è proprio il caso di dirlo - all’ultimo stadio. Non più rigori e simulazioni, niente foto di finti parenti dell’arbitro colpevole di non avere espulso un giocatore bianconero, via le plusvalenze e la mitica “carta Ronaldo”, onnipresente su certe pagine. Qui si parla di una inchiesta sulla criminalità organizzata infiltrata nelle curve, omicidi, minacce, pm sotto scorta e così via. Ora, è impossibile dimenticare il fango del 2017, la Juve e il suo presidente Agnelli perennemente associati alla “Ndrangheta”, perfino con intercettazioni appositamente alterate di fronte alla commissione Antimafia, la richiesta di due anni e mezzo di squalifica, i soliti noti con dieci tweet al giorno a chiedere retrocessioni e radiazioni. L’ennesimo disastro del racconto dei media sportivi (e non).