Inchiesta ultras tra ipocrisia e doppiopesismo: quanto fango sulla Juve. E ora...

Curve e infiltrazioni. Meglio il garantismo del giustizialismo: meglio ancora sarebbe utilizzare lo stesso metro, o comunque non sfociare nel ridicolo

Potrebbe sembrarlo, ma questo non è un articolo come gli altri. Certo, riguarda sempre il doppiopesismo e l’ipocrisia del racconto del calcio, ma è comunque diverso dal solito. Fosse una settimana come un’altra, si dovrebbe partire da Conceicao, che subisce 5 falli, tra cui un calcio e una trattenuta, e alla fine il rivale non riceve mezzo giallo mentre lui si trova espulso per un fallo e un errore certificato dai dirigenti arbitrali, nonché squalificato e multato: un solo giornale si occupa della questione e, per motivi di eleganza, mi sembra superfluo specificare quale sia.

Dopo aver premesso che la Juve avrebbe dovuto vincere per conto suo, che se fai errori grossolani davanti e dietro è probabile che arrivi la beffa, che l’arbitro era e rimane l’alibi di chi non vince mai, che i complottismi e gli anniversari delle sviste li lasciamo volentieri a chi sappiamo noi, se si trattasse del solito articolo evidenzieremmo il desiderio, anche solo per una volta, di leggere qualche riga in prima pagina su un errore contro la Juve anche su quei giornali dei leggendari “Juve, non così”, “Un Abisso di rabbia”, “Inter inferocita”, “Supervergogna”, dei mille “spunta il video” per dimostrare non si sa bene quale ingiustizia. Una sola volta, scelgano loro quando: il giorno in cui l’arbitro abolisce la regola del retropassaggio al portiere; se nello stesso match di Champions ti negano un penalty, inventano un fallo al tuo attaccante lanciato a rete, sulla ripartenza prendi il rosso e poi un rigore ma poi vinci comunque; quando, appunto, espellono il tuo attaccante per una simulazione che non c’è. Insomma, una sola volta, quando vogliono loro. Così, solo per spiazzarci, per disorientare il sentimento popolare, per vedere l’effetto che fa.

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L'ipocrisia del racconto è andata oltre, arrivando all’ultimo stadio

Quello sì, sarebbe il solito articolo. Magari con una spruzzata di sorrisi sugli acquisti "flop" già certificati alla settima giornata e di complimenti a Motta che dice le cose giuste nel modo giusto, anche se sta imparando a capire che per lui tutto è cambiato rispetto all’anno scorso, quando un rigore negato al suo Bologna contro i cattivi di sempre è diventato il simbolo degli errori arbitrali: quest’anno può parlare con eleganza, ricondurre giustamente colpe e meriti solo alla squadra o far capire che di simulazioni così ne ha viste fischiate poche e spera che d’ora in poi ci sia tolleranza davvero – ben sapendo che non sarà così -, ma in ogni caso in prima pagina finiranno i troppi pareggi e gli acquisti flop, non certo gli errori contro la sua Juve o le sue parole, molto più chiare di come siano state intese e riportate.

 Fosse una settimana qualunque, avrei già finito, ma stavolta non si può. Perché l'ipocrisia del racconto è andata oltre, arrivando - è proprio il caso di dirlo - all’ultimo stadio. Non più rigori e simulazioni, niente foto di finti parenti dell’arbitro colpevole di non avere espulso un giocatore bianconero, via le plusvalenze e la mitica “carta Ronaldo”, onnipresente su certe pagine. Qui si parla di una inchiesta sulla criminalità organizzata infiltrata nelle curve, omicidi, minacce, pm sotto scorta e così via. Ora, è impossibile dimenticare il fango del 2017, la Juve e il suo presidente Agnelli perennemente associati alla “Ndrangheta”, perfino con intercettazioni appositamente alterate di fronte alla commissione Antimafia, la richiesta di due anni e mezzo di squalifica, i soliti noti con dieci tweet al giorno a chiedere retrocessioni e radiazioni. L’ennesimo disastro del racconto dei media sportivi (e non).

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Basterebbe, almeno su questo tema, cancellare ipocrisia e doppiopesismi

Lungi da noi, allora, replicare quel becero giustizialismo quando tocca agli altri: l’Inter e i suoi tesserati non sono indagati e nessuno auspica chissà quali sentenze. Si tratta di una piaga di ordine pubblico che per prime le autorità dovrebbero aiutare ad affrontare, non lasciando sole le società.

Basterebbe, però, almeno su questo tema, cancellare ipocrisia e doppiopesismi: la questione già sgonfiata su tanti media, affrontata su carta stampata e tv come il rapporto tra la società e gli “ultrà”, come se non vi fosse anche il collegamento con la criminalità organizzata, come se quanto scritto anni fa sulla Juve oggi non valesse più; l’articolo 4 sulla slealtà sportiva che – direbbe l’artista - “po’ esse piuma e po’ esse fero”: due anni fa è stato “fero”, oggi pare diventato “piuma”; gli inviti plurimi da parte delle istituzioni sportive alla cautela, dopo anni in cui questo termine era stato abolito dalla giustizia sportiva; la corsa a definire le società coinvolte “parti lese”, non gradita perfino da Nando Dalla Chiesa, interista, che le istituzioni le conosce più di tutti noi e si pone domande come una mosca bianca in un mare di silenzio e indifferenza dal fronte dei solitamente attivissimi e loquaci comunicatori e vip nerazzurri (illustri direttori di testate giornalistiche compresi); il tifo palesato dal procuratore perfino in conferenza stampa, il focus da spostare; l'allenatore che spiega di non avere mai subito minacce dai capi ultras, semplicemente spingeva con la società per dare più biglietti del consentito e avere più tifo - aggirando dunque le norme della giustizia sportiva -, ma trova comunque uno spazio minimo in prima pagina, perché a quanto pare la questione ha già perso interesse.

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Il tentativo di condizionare il sentimento popolare dovrebbe prendersi un turno di pausa

Tutto un contorno che finalmente pare tornato al più spinto garantismo, proprio come piace a noi. Sfociato nel grottesco quando si è scelto, pur di smorzare e di modificare il sentimento popolare, di andare improvvisamente sul filone giovani, i quali a quanto pare – anche se i numeri parrebbero dire il contrario - amerebbero il mondo ultras, viva l’appartenenza e sentirsi parte di un qualcosa, proprio come si trattasse di un concerto degli 883 e non fossimo di fronte a una inchiesta che parte da plurimi omicidi, affari e minacce.

Stavolta non è solo calcio e il tentativo di condizionare il sentimento popolare, magari cavalcando presunte passioni dei “giovani” (a volte il ruolo del salvatore della patria tocca al “calcio del popolo”, a volte ai “giovani”), dovrebbe necessariamente e urgentemente prendersi un turno di pausa. Solo una piccola interruzione, per rispetto di una questione più grande di noi. Al prossimo rigore dubbio, alla prossima carta Ronaldo, l’ipocrisia e il doppiopesismo potranno tornare al loro posto. E noi, finalmente, potremo tornare a scrivere di Conceicao.

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Potrebbe sembrarlo, ma questo non è un articolo come gli altri. Certo, riguarda sempre il doppiopesismo e l’ipocrisia del racconto del calcio, ma è comunque diverso dal solito. Fosse una settimana come un’altra, si dovrebbe partire da Conceicao, che subisce 5 falli, tra cui un calcio e una trattenuta, e alla fine il rivale non riceve mezzo giallo mentre lui si trova espulso per un fallo e un errore certificato dai dirigenti arbitrali, nonché squalificato e multato: un solo giornale si occupa della questione e, per motivi di eleganza, mi sembra superfluo specificare quale sia.

Dopo aver premesso che la Juve avrebbe dovuto vincere per conto suo, che se fai errori grossolani davanti e dietro è probabile che arrivi la beffa, che l’arbitro era e rimane l’alibi di chi non vince mai, che i complottismi e gli anniversari delle sviste li lasciamo volentieri a chi sappiamo noi, se si trattasse del solito articolo evidenzieremmo il desiderio, anche solo per una volta, di leggere qualche riga in prima pagina su un errore contro la Juve anche su quei giornali dei leggendari “Juve, non così”, “Un Abisso di rabbia”, “Inter inferocita”, “Supervergogna”, dei mille “spunta il video” per dimostrare non si sa bene quale ingiustizia. Una sola volta, scelgano loro quando: il giorno in cui l’arbitro abolisce la regola del retropassaggio al portiere; se nello stesso match di Champions ti negano un penalty, inventano un fallo al tuo attaccante lanciato a rete, sulla ripartenza prendi il rosso e poi un rigore ma poi vinci comunque; quando, appunto, espellono il tuo attaccante per una simulazione che non c’è. Insomma, una sola volta, quando vogliono loro. Così, solo per spiazzarci, per disorientare il sentimento popolare, per vedere l’effetto che fa.

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