Il disastro della norma Tavecchio
La sintesi di tutte queste emergenze, ovviamente, rimanda allo scarso utilizzo degli italiani in campionato e dunque alla progressiva riduzione del numero di arruolabili per la Nazionale. Per porvi rimedio, l’allora presidente federale Carlo Tavecchio varò nel 2014 la riforma che prevedeva la rosa dei 25 con 4 calciatori formati nel club e altri 4 in Italia. Una decisione assunta pochi mesi dopo l’eliminazione ai gironi dal Mondiale in Brasile. Ebbene: da allora l’Italia il problema dell’eliminazione precoce da un Mondiale l’ha risolto, semplicemente perché non si è più qualificata, ma quello degli stranieri no. Anzi, la progressione negativa è stata costante: nel 2015/16 giocarono 54,94% di stranieri e 45,06 di italiani; nel 2020/21 si era già a 65,36 contro 34,64. L’anno scorso si è raggiunto il culmine con il 67,21 contro il 32,79. E quest’anno? Il totale medio si assesta a 65,03 di stranieri e 34,97 di italiani. Ma attenzione, perché se consideriamo solo le squadre che hanno partecipato alle Coppe europee, il dato dell’impiego di stranieri si impenna al 68,55 per cento. Una enormità, che certifica ancora una volta come la “norma Tavecchio” non abbia funzionato.
Deve essere proprio in seguito a questa consapevolezza, allora, che la Federazione ha dato il via libera alla possibilità, per le società della Serie A, di tesserare due giocatori extracomunitari senza il vincolo della sostituzione che valeva fino a questa stagione. Poi sì, nella lista dei 25 dovrebbero restarne sempre due, ma le società non avranno alcun vincolo né urgenza di cessione e, dunque, il numero di extracomunitari che resteranno nel “sistema calcio italiano” sarà inevitabilmente maggiore. A scapito di chi? Indovinate un po…