Pagina 0 | “Vlahovic, una cosa fuori dal mondo. Vi racconto un retroscena impressionante”

È stato un talento abbagliante. Tocchi di classe, pennellate d’autore, eleganza, personalità da vendere. Un sinistro d’oro, ma un ginocchio (destro) di cristallo. Hans-Peter “Hansi” Müller, 67 anni, ha dato spettacolo nello Stoccarda, nella Nazionale tedesca campione d’Europa a Roma nel 1980 e vicecampione del mondo due anni dopo a Madrid contro l’Italia. Quindi due stagioni all’Inter e una al Como prima di chiudere la carriera a Innsbruck, in Austria. Centrocampista dotato d’intelligenza fuori dal comune e personaggio a tutto tondo. In breve imparò l’italiano alla perfezione e poi addirittura il dialetto milanese con cui raccontava barzellette esilaranti alla Gino Bramieri. Appassionato di auto, moda, giochi di carte e musica. Si tolse anche lo sfizio di incidere un 45 giri, “Calcio di rigore” (lato B: “Mare d’estate”) insieme all’orchestra di Raoul Casadei, il “re del liscio” romagnolo. E divenne una sorta di icona “metrosexual” alla David Beckham “ante litteram” sfilando in passerella per Giorgio Armani mentre a Como diventò dj arrivando a condurre una trasmissione settimanale su una radio locale.

Hansi, cosa rappresenta per lei l’Italia?

"L’altra metà del mio cuore. Persino più della metà, forse. Quando vengo da voi mi sento più italiano che tedesco, l’Italia è la mia seconda patria. E poi la vostra lingua, meravigliosa, sonorità magiche: la più bella del mondo. Sulla mia scrivania ci sono foto e bigliettini di tanti amici italiani. Vado sovente a Bogogno, in provincia di Novara e vicino alla Malpensa, dove mi diletto a giocare a golf nel 'resort' locale. Mi sento spesso con Riccardo Ferri, lo 'Zio' Bergomi e Collovati. E con Federica, la moglie di Paolo Rossi. Lei mi ha invitato qualche anno fa a Firenze dove ho ricevuto da Arrigo Sacchi il Premio Internazionale Fair Play Menarini. C’erano anche Tardelli, il caro Mihajlovic, Kluivert e Bonini".

Martedì tornerà di nuovo da noi per Juve-Stoccarda di Champions?

"Assolutamente sì. Arriverò lunedì all’ora di pranzo con il charter della squadra di cui sono uno dei 4 ambasciatori insieme alle altre leggende 'rosse' Cacau, Buchwald e l’ex portiere Hildebrand. Tutti con oltre 200 presenze tra campionato e Coppe nel 'Vfb Stuttgart' come lo chiamiamo noi. In più io sono nato a Stoccarda e da 16 anni vivo a Korb, circa 18 chilometri di distanza dalla città della Mercedes e della Porsche".

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La trasferta a Torino e la forza Stoccarda

Si prospetta per voi all’Allianz Stadium una trasferta ardua dopo la sconfitta al Bernabéu e il pari interno contro lo Sparta Praga...

"Sarà cronologicamente la seconda trasferta molto difficile dopo quella di domani in un altro stadio griffato Allianz: l’Arena di Monaco di Baviera, la casa del Bayern. Sfide una dietro l’altra contro due grandi del calcio europeo. Massimo rispetto per entrambe, ma non abbiamo timori. In noi c’è la consapevolezza di potercela giocare alla pari. Sia a Monaco che a Torino".

Eppure gli ultimi risultati dello Stoccarda non sono positivi: anche in Bundesliga al momento siete solo ottavi...

"Sì, ma c’è una spiegazione. Ci stiamo gradualmente abituando a una stagione diversa rispetta all’ultima in cui abbiamo centrato il secondo posto dietro il Bayern Leverkusen e davanti al Bayern Monaco qualificandoci per la Champions League dopo quindici anni. Un’impresa quasi miracolosa. Le pressioni ora sono diverse. L’anno scorso eravamo una sorpresa, un 'underdog' che s’era salvato dalla retrocessione solo nello spareggio con l’Amburgo. Oggi invece tutti gli avversari danno il 110% contro di noi perché siamo tornati nell’élite del calcio, siamo in vetrina. La scorsa stagione il nostro unico impegno importante era il campionato, non c’erano straordinari europei. Quindi maggior freschezza, fisica e mentale. Quest’anno abbiamo come minimo 8 partite in più di Champions da disputare, con avversari di spessore. L’asticella s’è alzata al pari delle aspettative. Dobbiamo somatizzare tutto ciò. E aggiungo: abbiamo perso a Friburgo e pareggiato in casa 3-3 col Magonza, non sarebbe successo la scorsa stagione...".

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Il retroscena Champions

Il suo ottimismo da dove deriva?

"Da come giochiamo a calcio. Da come teniamo il campo. Da come il nostro allenatore Sebastian Hoeness ha forgiato il gruppo. Al Bernabéu nella prima giornata abbiamo perso 3-1, ma eravamo sull’1-1 fino a 7’ dalla fine. A questo proposito voglio raccontare un retroscena. Molto significativo. Dopo quella partita contro il Real, la squadra detentrice della Champions League, il club più famoso e più forte del mondo con 15 Champions in bacheca, siamo tornati in albergo per la cena. Sarà stata all’incirca mezzanotte. C’era un salone riservato per noi, eravamo un centinaio di persone fra dirigenti, sponsor, ospiti vip, invitati, accompagnatori, ecc. Quando è arrivata la squadra, ripeto sconfitta 3-1, s’è alzato un applauso spontaneo, fragoroso e prolungato. Sarà durato quasi tre minuti. Impressionante. A dimostrazione di quanto regni la fiducia nell’ambiente che ci circonda".

C’è un segreto in questo Stoccarda?

"Sì, tre. Mi riferisco ai componenti dello staff tecnico. In primis l’allenatore Sebastian Hoeness, 42 anni. E poi i suoi fedelissimi assistenti Malik Fathi, di origine turca, e David Krecidlo, entrambi quarantenni. Fra l’altro Seb e David sono cognati dato che il nostro 'cheftrainer' ha sposato la sorella del suo vice. Grazie a loro si respira un clima d’armonia non solo nello spogliatoio, ma che va dal presidente al magazziniere. Hanno fatto e continuano a svolgere un lavoro mastodontico. E hanno fatto crescere tantissimi giocatori. In occasione delle ultime uscite di Nations League sono stati convocati nella Germania 6 giocatori dello Stoccarda: Nübel, Mittelstädt, Führich, Stiller, Undav e Leweling. Mai successo nella storia del club, neppure quando c’ero io con i fratelli Förster, Dieter Hoeness e Kelsch. Al massimo eravamo in 5 selezionati nella 'Mannschaft'...".

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Vlahovic, gol fuori dal mondo

Qual è la prerogativa di Seb Hoeness?

"I suoi cromosomi. Il padre Dieter e lo zio Uli. Due ottimi calciatori, poi eccellenti dirigenti. Dieter è diventato inoltre un apprezzato agente tanto che oggi nella sua scuderia ci sono anche due ragazzi bravissimi come Pavlovic e Stanisic del Bayern oltre naturalmente al figlio Sebastian che ha fatto tesoro delle molteplici esperienze maturate da suo papà".

Una curiosità tecnico-tattica sul mister nato a Monaco di Baviera?

"Ho visto recentemente un allenamento dello Stoccarda. Campo da trenta metri, due porte, 5 contro 5 a ritmo forsennato. Da far paura...".

È vero che lui è destinato a diventare allenatore del Bayern dove hanno giocato il padre e lo zio?

"Se per quello già in estate se n’è parlato, ma il mio amico ed ex compagno Dieter – abbiamo giocato insieme per quattro anni nello Stoccarda – mi ha garantito che Sebastian ha messo subito in chiaro di voler completare il lavoro nel club onorando il contratto, rinnovato in primavera, fino al 2027. Insomma, il Bayern non ha nemmeno abbozzato un’offerta stante la decisione di Hoeness".

Ha visto RB Lipsia-Juventus?

"Certo. E non ho potuto fare a meno di riscontare ancora una volta come i bianconeri abbiano il DNA da grande squadra. Le cose si stavano mettendo male per loro, erano sotto 2-1 alla Red Bull Arena e ridotti in 10 uomini per l’espulsione di Di Gregorio. Eppure si sono imposti 3-2 in rimonta. Vlahovic ha vinto la partita da solo, il suo secondo gol è stato incredibile, fuori dal mondo... La Juve è l’unica squadra imbattuta in Serie A dove finora ha subìto un solo gol. Dati incontrovertibili. Sappiamo cosa ci aspetta a Torino, ma siamo pronti".

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