Pagina 4 | Platini: “I tifosi Juve sbagliano su Elkann. Ceferin-Infantino? Sono il niente”

Michel Platini respira Torino e sorride come si sorride quando si torna a casa. Oggi giocherà a golf al Royal Park per la gara benefica “Vialli e Mauro”, l’occasione per rivedere vecchi amici e risentirsi un po’ più vicino alla Juventus, che comunque resta sempre nei suoi pensieri anche a Cassis, dove vive.

Buongiorno Platini, è pronto per la “Vialli e Mauro”?

«Io non sono mai pronto, soprattutto di giocare a golf, ma sono felice, perché sono a Torino, perché c’è Massimo (Mauro, ndr), perché ricordiamo Gianluca (Vialli, ndr), perché ritrovo tanti amici. Chiederò a Massimo, dammi la data dell’anno prossimo che me la segno subito».

Torna volentieri a Torino?

«Sempre. È casa per me. Ho ancora degli amici e dovrei tornare più spesso».

Ha visto la finale di Champions?

«Soprattutto il primo tempo. Beh, come si dice? Si gioca in undici, c’è un pallone e alla fine vince il Real Madrid. Hanno un mix di esperienza, fortuna e campioni che li fa prevalere anche quando non sono i più forti. Nel primo tempo forse meritava il Borussia, ma quando hai la qualità del Real... Voglio dire: in fondo servono un portiere che para e un attaccante che segna, no? E quel Vinicius è fortissimo».

Cosa pensa di Bellingham?

«Sono sincero, l’ho visto poco quest’anno e non posso giudicarlo. Però è un centrocampista che segna molti gol, mi ricorda qualcuno (ride)».

Guardiola o Ancelotti?

«Non scelgo, sono due amici e sono eccezionali tutti e due. Due modi completamente differenti di interpretare il calcio, entrambi efficaci, anche se alla fine il City di Guardiola a volte mi ricorda la Roma di Liedholm dove giocava Ancelotti. Buffo no? Liedholm diceva: se il pallone ce l’abbiamo noi, non ce l’hanno gli altri, stessa filosofia del City».

La sua Juventus però batteva sempre la Roma di Liedholm.

«Ma quando Zibì è andato da loro, abbiamo beccato due volte 3-0! Quanto mi piaceva giocare a Roma ad aprile, mi ricordo lo stadio, il cielo meraviglioso, le battute dei romani che mi facevano sempre ridere. Sono dei momenti bellissimi della mia vita, magari non mi ricordo il risultato, ma mi ricordo l’ambiente. Lo sai, io sono sempre stato un po’ strano».

Negli ultimi vent’anni il calcio è migliorato o peggiorato?

«Mmmm è complicato. Per me il calcio come evento in uno stadio è migliorato, però i giocatori mi sembrano un po’ tutti uguali, un po’ stereotipati o, comunque, fatti perché in una squadra sia più importante l’allenatore rispetto ai calciatori che non osano più, non dribblano, non provano a inventare qualcosa, sono frenati dagli allenatori. Non è il calcio dei calciatori, ma il calcio degli allenatori oggi, con meno talento, meno fantasia, più corsa e posizionamento. Credo che si dovrebbe tornare un po’ al calcio dei calciatori, è più divertente. E poi ci sono sei/sette squadre che concentrano i migliori giocatori del mondo e questo è un po’ meno divertente, perché ai miei tempi erano più distribuiti. Poi, attenzione, il gioco rimane divertente, ci sono dei grandi campioni che mi divertono. Dopo però quando vedo un giocatore che entra in campo e l’allenatore gli mostra il foglio con gli schemi... beh, quello mi sta sulle palle: ma lascialo giocare, no?».

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Platini su Trapattoni e la nuova Champions

Trapattoni vi faceva vedere i fogli?

«Ma va! Io sono arrivato in una Juventus in cui tutti sapevano cosa dovevano fare. Tardelli, Cabrini, Bonini... tutti conoscevano il loro compito. Magari io e Boniek abbiamo un po’ spinto per giocare in po’ più in attacco, con il supporto di Bettega e Rossi. E in quel periodo avevamo un po’ rotto la tradizione juventina, eravamo un po’ più francesi. Poi nei miei ultimi anni si è tornati a una Juve più bonipertiana e io da venti gol sono passato a due».

A proposito: le stesse cose che dicevano a Trapattoni, negli ultimi tempi le dicevano ad Allegri. Cosa ne pensa?

«Sì, buffo. D’altronde io credo che ci sia un logica: quando non prendi gol hai già conquistato un punto, mentre puoi segnare tre gol e perdere comunque la partita. Io rompevo un po’ i coglioni al Trap: perché non giochiamo un po’ di più, segniamo un gol, ma cerchiamo di farne altri due... ma lui aveva un’altra filosofia. Ma Trap era un grande allenatore, perché sapeva come trattare i giocatori era uno psicologo pazzesco. Era bravo».

Le piace la nuova Champions?

«È stupida. Non mi piace. Ci sono più partite ma solo per racimolare più soldi, senza una logica. Credo sia nata per la pressione della Superlega. Che poi alla fine la Superlega la faranno comunque».

Cosa pensa di Ceferin e Infantino?

«Non sono niente e vengono dal niente. Sono personaggi che sono nel calcio per il potere, ma i capi del calcio sono sempre stati i giocatori e devono essere loro. Sono i Baggio, i Del Piero, gli Mbappé, gli Haaaland, i Klopp, i Guardiola, gli Ancelotti».

Si giocano davvero troppo partite?

«Sai qual è il problema? È che sono tutte in tv e i giocatori vengono giudicati ogni volta che scendono in campo, quindi aumenta lo stress. Anche ai miei tempi si giocava tanto, in Francia avevamo già il campionato a venti squadre, ma le partite meno importanti non andavano in tv e magari potevi tirare un po’ i remi in barca. Oggi non puoi, ogni partita è uno stress e devi dare spettacolo ogni tre giorni».

Il suo era anche un altro calcio...

«Sì, per carità! Un po’ più lenti e con tante perdite di tempo. Buttavi il pallone in tribuna e arrivava dopo cinque minuti. Al San Paolo, se il Napoli vinceva, anche dopo venti... (ride). E poi c’era il retropassaggio al portiere».

Quello lo ha tolto lei.

«Sì e ne sono orgoglioso, perché ha cambiato il calcio in meglio. E il portiere è diventato un giocatore. Ho tolto il retropassaggio e introdotto il rosso diretto per i falli da dietro. Due cambi di regolamento per migliorare lo spettacolo e credo di esserci riuscito».

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Platini, Agnelli e la Juve

La Juventus nell’ultimo anno e mezzo ha cambiato tutto. Ha sentito Andrea Agnelli in questo periodo?

«No. So come ci si sente, sono questioni personali. Mi auguro che vada tutto bene».

Ora al comando c’è John: i tifosi della Juventus gli imputano di non essere abbastanza appassionato al club. Lei lo conosce bene: è vero?

«No, sbagliano. Magari non è appassionato come suo nonno, l’avvocato, o come Umberto, ma ci tiene. Si percepisce che vive con grande serietà l’impegno centenario della sua famiglia nella Juventus. E poi ha grandissime responsabilità nella gestione delle aziende. Insomma, magari non riesce a comunicarlo bene, ma alla Juventus ci tiene, è vicino al club».

Pensa mai al nonno di John, l’Avvocato, o solo quando le pongono l’inevitabile domanda?

«Ci penso, ci penso ogni volta che mi viene in mente Torino e quel periodo meraviglioso che ho vissuto qui. È stato un personaggio straordinario, mi inorgoglisce averlo conosciuto. Purtroppo sono tempi passati. Lui punzecchiava sempre tutti e a me piaceva rispondergli. E credo che lui apprezzasse le mie risposte».

Eravate un due calcistico che ha impreziosito quel periodo del calcio.

«Non so, so che ci divertivamo. Per esempio... Un giorno sono a casa sua per parlare di qualcosa che non mi ricordo, decide di accompagnarmi lui all’allenamento. Salgo in macchina e, come al solito, si mette a guidare molto forte, perché il suo sfizio era seminare l’auto della scorta. Quindi stavamo scendendo dalla collina di Torino come pazzi e io gli ho detto: Avvocato, piano che qui in macchina ci sono dieci miliardi. Lui si gira verso di me, non capisce subito, poi si mette a ridere».

Sono tantissimi i tifosi della Juventus che sognano Platini presidente. Cosa si può dire loro?

«Non me l’hanno mai chiesto. E non credo che adesso me lo chiedano, adesso è un periodo in cui deve risanarsi economicamente prima di pensare solo alla parte sportiva. Ora non è il momento di sognare sul campo, ma tornerà anche quello. È sempre un questione di cicli».

Oggi è difficile sognare sul campo, alla Juventus mancano giocatori di grande classe.

«Il costo dei calciatori è molto aumentato... Mbappé non può certo venire qui. Bisogna essere furbi come il Dortmund, ma non è facile».

L’anno prossimo la maglia numero dieci ce la potrebbe avere un ragazzo turco che si chiama Yildiz e promette benissimo. Dice di essersi ispirato a Del Piero.

«Del Piero si è ispirato a me, quindi io sarei suo nonno (ride). Non l’ho mai visto giocare, quest’anno praticamente non ho mai visto la Juventus».

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Platini su Euro 2024 e il calcio europeo

Esattamente quarant’anni fa stava vincendo, anzi stravincendo l’Europeo. Che ricordi ha dell’estate 1984: 9 gol in 5 partite.

«Quella Francia era maturata nel Mondiale del 1982, finalmente avevamo la possibilità di vincere qualcosa. Dovevo solo convincere i miei compagni che era arrivato il momento. Così mi sono tirato su le maniche e... abbiamo vinto. È stato bellissimo: la prima vittoria della Francia in uno sport di squadra».

E da quella vittoria è nata la grande Francia del calcio che ora è sempre tra le favorite.

«Allora non eravamo consapevoli di essere grandi giocatori, poi c’è stato un grande progetto della Federazione che ha programmato meglio la preformazione e la formazione dei bambini e dei ragazzi. Da quel progetto sono nate le generazioni di calciatori successive».

In Italia non nascono più i Baggio, i Del Piero o i Totti. In Francia sì. Qualcuno dice che è merito delle banlieue parigine, vere fucine di campioni. Giusto?

«Il merito è del programma della Federazione che lavora con i bambini fin da quando sono piccolissimi. Se in Italia non nascono campioni dovete dire alle mamme e ai papà di farli nascere (ride) e poi programmare la formazione. I bambini devono giocare di più nei cortili e nei parchi: il talento nasce lì, poi si forma nelle scuole calcio. E comunque anche senza grandi fuoriclassi avete vinto gli ultimi Europei o sbaglio?».

La Francia può vincere l’Europeo?

«Si, certamente. È tra le favorite, insieme a Germania, Portogallo, Inghilterra e Italia».

Mbappé è il più forte del mondo?

«Difficile dirlo. Gli manca la Champions. Ma è fortissimo». Le piace il lavoro di Didier Deschamps, eterno ct? «Didier è furbo. Non ha un lavoro difficile, ci sono generazioni di grandi giocatori (ride). Allena la squadra più forte del mondo senza fare calciomercato (ride)».

Cosa le ha lasciato la sua vicenda con la giustizia, ora che conosciamo la verità e la sua innocenza?

«Mi lascia l’ingiustizia. La Fifa e i tribunali svizzeri erano complici per far fuori un francese. Se si mettono insieme Fifa e tribunali svizzeri sei morto. Da quattro anni si sa che sono innocente, ma non c’è ancora la riabilitazione sportiva. Infantino aveva paura di me alle elezioni e mi ha bloccato. Poteva battermi alle elezioni, ma mi ha fatto paura. Sono passati dieci anni che nessuno mi restituirà più. Mi hanno tolto dal calcio... hanno tolto me dal calcio, capito? Ma non puoi vincere contro la Fifa, controllano tutto: potere legislativo, esecutivo e giudiziario. Montesquieu avrebbe qualcosa da dire, no?».

Cosa pensa della sentenza della Corte di Giustizia Europea sul Fifa e Uefa?

«Credo che quella sentenza cambierà la faccia del calcio. Cambierà molto».

È un bene o un male?

«Non lo so, forse non è un bene, ma sarà così. È come la legge Bosman. Adesso questi non hanno credibilità, perché non vengono da nessuna parte. Infantino non ha mai gestito un club o una federazione e adesso comanda il calcio. La debolezza del sistema è che mancano i calciatori. Il futuro del calcio può esserci solo se i calciatori vengono maggiormente coinvolti. La Superlega è inevitabile, non so se è una cosa buona o cattiva, ma è inevitabile. I grandi club erano tutti partiti per la Superlega, poi sono tornati indietro perché mediaticamente era complicata da gestire, ma alla prossima occasione se ne vanno davvero. Soprattutto adesso che non possono essere sanzionati. Con me il casino della Superlega non sarebbe successo».

Perché?

«Perché avrei mediato. Una mediazione si trova sempre. Ora sarà difficilissimo per le istituzioni, spero che nel nuovo mondo del calcio ci sia più potere per i giocatori. La generazione dei Messi e dei Ronaldo devono agire, tocca a loro prendere il potere. Io sono vecchio, il futuro è loro, non mio. Se vogliono qualche aiuto o consiglio, ma sono loro che devono agire per cambiare il sistema».

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Platini, la Juve, Scirea e Paolo Rossi

Passo indietro: la Juventus del 1983, quella di Atene, è la più forte di sempre?

«Non lo so, ma se nel 1983 avessimo vinto la Coppa ne avremmo vinto quattro Coppe dei Campioni di fila. In quel ciclo di tre anni abbiamo vinto sempre, ma abbiamo perso solo una partita, ad Atene, maledizione».

Si è mai spiegato perché non avete vinto quella sera?

«Semplice, perché io non ho fatto gol (ride)».

Poi avete vinto nella maledetta notte di Bruxelles, poi ci furono annate sfortunate in Europa: Barcellona, Real Madrid...

«Ma eravamo un’altra squadra, avevamo perso Zoff, Gentile, Tardelli, Boniek...».

C’era Laudrup.

«Fortissimo, ma giovane. Forse il meglio l’ha dato poi al Barcellona».

Che ricordi ha di Scirea?

«Il saggio. Lui e Zoff erano di una saggezza superiore. Poi c’eravamo io, Tardelli e gli altri che eravamo un po’ più cazzari, Scirea ci equilibrava. Un uomo meraviglioso. A casa ho una grande fotografia che ci ritrae insieme con una sua dedica che mi commuove sempre».

E Paolo Rossi?

«Una persona fantastica. Simpatico, umile, sempre sorridente. Un calciatore pazzesco: tutti e due i piedi, veloce e furbo. Io credo che la sua parabola lo abbia molto rilassato nella seconda parte della carriera. In fondo se tocchi il fondo con la squalifica, poi risorgi e vinci il Mondiale, tocchi il sacro graal, cioè la coppa del mondo, e lo fai da capocannoniere, il massimo del massimo. A quel punto cosa puoi chiedere dal calcio? Solo di divertirti. E lui lo faceva con grande talento. Poi soffriva tanto per le ginocchia. Era un ragazzo meraviglioso, mi ha toccato nel profondo il fatto che sia partito così giovane e così velocemente».

Va ancora a vedere qualche partita allo stadio?

«Ho visto qualche partita di coppa del Marsiglia. Anche quella con l’Atalanta e ho conosicuto Percassi: bellissima persona e bellissima squadra. Mi è piaciuto, un uomo intelligente. Mi ha invitato a Bergamo».

Lo sa che giocava insieme a Scirea nella Primavera dell’Atalanta?

«Davvero? Che bello».

È vero che giocava a tennis quando eri a Torino?

«Mi aiutava a lavorare sulla velocità, perché gli allenamenti francesi erano molto più duri fisicamente rispetto a quelli del Trap, così andavo a giocare a tennis per quello».

Le piace Sinner?

«Ah, ma ora non seguo il tennis. Mi dicono che siete tutti diventati matti per il tennis perché adesso vincete, tutti esperti... quando c’era Tomba era lo sci (ride). Ma è giusto così! Quando si vince è sempre bello».

La Juve tornerà a vincere?

«Ma certo! Ci sono i cicli, no? Quando finisce un ciclo c’è un periodo un po’ duro, poi la Juventus torna sempre a vincere, lo ha sempre fatto e lo farà sempre, state tranquilli».

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Platini su Euro 2024 e il calcio europeo

Esattamente quarant’anni fa stava vincendo, anzi stravincendo l’Europeo. Che ricordi ha dell’estate 1984: 9 gol in 5 partite.

«Quella Francia era maturata nel Mondiale del 1982, finalmente avevamo la possibilità di vincere qualcosa. Dovevo solo convincere i miei compagni che era arrivato il momento. Così mi sono tirato su le maniche e... abbiamo vinto. È stato bellissimo: la prima vittoria della Francia in uno sport di squadra».

E da quella vittoria è nata la grande Francia del calcio che ora è sempre tra le favorite.

«Allora non eravamo consapevoli di essere grandi giocatori, poi c’è stato un grande progetto della Federazione che ha programmato meglio la preformazione e la formazione dei bambini e dei ragazzi. Da quel progetto sono nate le generazioni di calciatori successive».

In Italia non nascono più i Baggio, i Del Piero o i Totti. In Francia sì. Qualcuno dice che è merito delle banlieue parigine, vere fucine di campioni. Giusto?

«Il merito è del programma della Federazione che lavora con i bambini fin da quando sono piccolissimi. Se in Italia non nascono campioni dovete dire alle mamme e ai papà di farli nascere (ride) e poi programmare la formazione. I bambini devono giocare di più nei cortili e nei parchi: il talento nasce lì, poi si forma nelle scuole calcio. E comunque anche senza grandi fuoriclassi avete vinto gli ultimi Europei o sbaglio?».

La Francia può vincere l’Europeo?

«Si, certamente. È tra le favorite, insieme a Germania, Portogallo, Inghilterra e Italia».

Mbappé è il più forte del mondo?

«Difficile dirlo. Gli manca la Champions. Ma è fortissimo». Le piace il lavoro di Didier Deschamps, eterno ct? «Didier è furbo. Non ha un lavoro difficile, ci sono generazioni di grandi giocatori (ride). Allena la squadra più forte del mondo senza fare calciomercato (ride)».

Cosa le ha lasciato la sua vicenda con la giustizia, ora che conosciamo la verità e la sua innocenza?

«Mi lascia l’ingiustizia. La Fifa e i tribunali svizzeri erano complici per far fuori un francese. Se si mettono insieme Fifa e tribunali svizzeri sei morto. Da quattro anni si sa che sono innocente, ma non c’è ancora la riabilitazione sportiva. Infantino aveva paura di me alle elezioni e mi ha bloccato. Poteva battermi alle elezioni, ma mi ha fatto paura. Sono passati dieci anni che nessuno mi restituirà più. Mi hanno tolto dal calcio... hanno tolto me dal calcio, capito? Ma non puoi vincere contro la Fifa, controllano tutto: potere legislativo, esecutivo e giudiziario. Montesquieu avrebbe qualcosa da dire, no?».

Cosa pensa della sentenza della Corte di Giustizia Europea sul Fifa e Uefa?

«Credo che quella sentenza cambierà la faccia del calcio. Cambierà molto».

È un bene o un male?

«Non lo so, forse non è un bene, ma sarà così. È come la legge Bosman. Adesso questi non hanno credibilità, perché non vengono da nessuna parte. Infantino non ha mai gestito un club o una federazione e adesso comanda il calcio. La debolezza del sistema è che mancano i calciatori. Il futuro del calcio può esserci solo se i calciatori vengono maggiormente coinvolti. La Superlega è inevitabile, non so se è una cosa buona o cattiva, ma è inevitabile. I grandi club erano tutti partiti per la Superlega, poi sono tornati indietro perché mediaticamente era complicata da gestire, ma alla prossima occasione se ne vanno davvero. Soprattutto adesso che non possono essere sanzionati. Con me il casino della Superlega non sarebbe successo».

Perché?

«Perché avrei mediato. Una mediazione si trova sempre. Ora sarà difficilissimo per le istituzioni, spero che nel nuovo mondo del calcio ci sia più potere per i giocatori. La generazione dei Messi e dei Ronaldo devono agire, tocca a loro prendere il potere. Io sono vecchio, il futuro è loro, non mio. Se vogliono qualche aiuto o consiglio, ma sono loro che devono agire per cambiare il sistema».

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