La prima apparizione nell’anno solare da titolare se l’era immaginata ben diversa: dopo una trentina di minuti a gennaio con il Sassuolo, peraltro con gol del 3-0, e uno spezzone non decisivo a San Siro nella sconfitta con l’Inter, Federico Chiesa aspettava l’Udinese per riprendersi la Juve. E non è andata proprio come avrebbe desiderato: quasi 80 minuti in campo non sono bastati per lasciare il segno allo Stadium. E se la sconfitta contro l’Udinese si può declinare come un passaggio a vuoto con tante origini e svariate motivazioni, la prestazione sotto tono generale accende i riflettori soprattutto sulla prova inconsistente di chi dovrebbe, per possibilità e qualità, trascinare i bianconeri anche e soprattutto nelle serate in cui tutto sembra non girare nel verso giusto.
Non si può certo dire che non ci abbia provato, specialmente nel primo tempo, quando Chiesa ha cercato il fraseggio nello stretto con Cambiaso e ha provato a spargere un po’ di pepe nell’attacco, anche se rimanendo sempre ancorato alla corsia sinistra. Da esterno puro, da 4-3-3, però la Juventus ha un assetto diverso e così va a finire che il centravanti, ruolo ricoperto lunedì sera da Milik, rimane troppo spesso isolato. La posizione in campo è una delle spine nella gestione dell’ex attaccante della Fiorentina: defilato (come si evince dalla heat map, di frequente con il pallone tra i piedi e la testa bassa a cercare l’uno contro uno, senza tuttavia riuscire - specialmente senza Vlahovic - ad aumentare il peso specifico del reparto.