La partita, ormai, si gioca anche dalla panchina perché le immagini sono immanenti e soprattutto perché i giocatori in campo hanno una visione laterale molto sviluppata: i segnali che si diffondono dalla panchina sono seguiti con molta attenzione. Insomma, non è più solo una questione di “allenattori” (le due t non sono un refuso) ma di messaggi che si inviano ai propri uomini sia con le sostituzioni (un difensore in più induce ad abbassarsi, un attaccante a spingere) sia con le posture, con i messaggi del corpo più che con le urla. Così il segnale che manda Allegri quando fa volare un cappotto è molto più efficace di un urlaccio che, potete essere certi, dall’altra parte del campo non si sente per nulla quando stai immerso nel caos di San Siro. E se non è ancora stagione di cappotti, allora si rimedia - come domenica sera - con la giacca e la cravatta: una novità assoluta, quest’ultima, nel rito delle svestizione allegriana.
Che non è, badate bene, una novità introdotta nell’Allegri Bis ma risale ai tempi della sua prima avventura in bianconero: era il 20 dicembre 2015 quando al Braglia di Modena decollò il cappotto del mister. Troppo forte la tensione dopo che la sua Juve aveva ribaltato lo vantaggio di uno a zero portandosi sul 3-1 salvo, poi, subire il secondo gol e rischiare di spianare agli emiliani la strada verso il pareggio. Un rischio che ha mandato Allegri fuori controllo: ha aumentato la frequenza dei passi lungo la linea laterale e, tarantolato, ha gettato il cappotto senza peraltro che il gesto abbia contribuito a calmarlo. Anzi...