Calori e il gol Scudetto alla Juve: “Tifavo per loro, l’ho pagato caro”

L’ex difensore del Perugia si confessa sul pomeriggio bagnato del Curi di quel 14 maggio 2000: “Regalai il titolo alla Lazio togliendolo alla mia squadra del cuore”
Calori e il gol Scudetto alla Juve: “Tifavo per loro, l’ho pagato caro”

Coraggio. Passione. Libertà. Sono l'architrave che Alessandro Calori si porta appresso da quarant'anni di carriera. Il cacciatore di orizzonti si gode l'estate nella casa in Sardegna, alla Maddalena, che proprio il calcio gli ha consentito di acquistare. Non è un buen ritiro. A 57 anni vuole ancora allenare, possibilmente una prima squadra anche se la recente esperienza con la Primavera della Lazio gli ha aperto nuove prospettive, scenari, allargando la mentalità di un uomo che non smette mai di studiare e studiarsi. Ancora inseguito da quel gol segnato con il Perugia, che 23 anni fa tolse alla Juventus uno scudetto che sembrava ormai in tasca, è l'uomo che può girare a testa alta trasmettendo lealtà, valori e calcio pulito in un mondo che di marcio ha, purtroppo, ancora tanto.

Calori, cosa le resta di quel 14 maggio 2000 irreale al "Curi" dove lei, che da piccolo era tifoso juventino, divenne il più odiato dai sostenitori bianconeri?

«Si dava per scontata la vittoria della Juve perché il Perugia era ormai salvo, in realtà si tende a dimenticare che grazie a quel successo raggiungemmo l'Intertoto. Nove volte su dieci una squadra con in campo Van der Sar, al quale faccio un grosso in bocca al lupo per quanto gli è accaduto nelle ultime ore, Davids, Zidane, Del Piero e Inzaghi avrebbe vinto perché i valori, oltre che le motivazioni, erano nettamente superiori. Se ancora oggi siamo qui a parlarne significa che avvenne qualcosa di strano come per altro il diluvio che interruppe la partita, la pausa di oltre un'ora, il sole che spuntò all'improvviso e quel gol che segnai non pensando, com'era giusto che fosse, al fatto che da bambino rimanevo ore e ore incollato alla televisione a guardare la mia squadra del cuore nella quale spiccava Gaetano Scirea, l'uomo al quale mi sono sempre ispirato per come stava in campo, passando dal ruolo di libero a quello di centrocampista e persino mezza punta, un pioniere se lo valutiamo oggi in cui si punta tanto sulla costruzione dal basso e sui difensori con i piedi educati, ma mi affascinava anche la sua educazione, quasi timidezza, fuori dal campo».

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Fare bene il proprio lavoro senza stare troppo sotto i riflettori è stato anche il mantra di Calori, ma a cavallo tra il '99 e il 2000 per due volte lei finì sulla ribalta per motivi opposti...

«L'anno prima di quel gol ci fu chi mi indicò come il pentito del calcio italiano che scrisse una lettera a "Famiglia Cristiana" dicendo di essersi venduto una partita. Ho querelato e avuto dei risarcimenti. Non so ancora perché spuntò il mio nome, forse perché ero il capitano dell'Udinese che si era inserita improvvisamente nella lotta per l'Europa occupando il posto di qualche grande squadra e probabilmente davamo fastidio».

Anche il gol di Perugia pensa che alla lunga le abbia portato più penalizzazioni che riconoscimenti?

«Bah, a volte mi chiedo perché dopo aver portato il Portogruaro ad una storica promozione in Serie B e preso in mano il Brescia dai playout conducendolo ai playoff, rimasi all'improvviso senza squadra, nessuno che mi cercava più. E perché in quasi 20 anni di carriera da allenatore non abbia mai avuto la chances di farlo in Serie A. In certi momenti fai pensieri strani e temi che qualcuno abbia voluto fartela pagare, ma così come mi vengono questi pensieri li scaccio via perché sono abituato a guardare sempre avanti, non cerco colpevoli bensì soluzioni e nuove possibilità dato che sono ancora giovane e posso allenare per molti altri anni».

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Le è mai capitato di dover fare ad una sua squadra un discorso motivazionale citando quell'episodio?

«No, piuttosto qualche mio giocatore ogni tanto viene con il telefonino o l'i-pad sul quale ha le immagini di quel giorno prese da youtube ed è lui che mi chiede cosa accadde e come fu possibile. Poi, va beh, ci sono anche i tifosi laziali che mi riconoscono, mi chiedono una foto e mi ringraziano perché vinsero quello scudetto a scapito della Juventus, ma io a tutti ricordo le parole di Carlo Mazzone, allenatore di quel Perugia, nello spogliatoio prima della partita. Poche, ma che andarono dritte al punto: "Mi raccomando, abbiamo gli occhi di tutto il mondo addosso, giocate con dignità, date il massimo, siate uomini". Decidendo quella partita e quel campionato cancellai anche l'ignobile e infamante etichetta che mi era stata appiccicata un anno prima».

Passando due stagioni fa da una prima squadra alla Primavera cos'ha notato in un calcio italiano che non fa i Mondiali da due edizioni e soffre ora anche a livello giovanile visto il recente flop dell'Under 21?

«Con i ragazzi bisogna saper parlare, accompagnarli in un percorso, guardarli negli occhi e portarli a fare altrettanto, togliendoli da quei telefonini con i quali comunicano tra di loro anche durante i ritiri quando sono a pochi passi di distanza. Abbiamo gente forte, sappiamo arrivare in fondo come hanno dimostrato le tre squadre italiane nelle finali europee di quest'anno, ma non occorre imbottirsi di stranieri. Non aiuta il fatto che ci siano in giro sceicchi pronti a dare 10 milioni di euro a un ventenne, passa il messaggio sbagliato ovvero che bastano poche partite fatte bene per toccare il cielo con un dito. Io ho lanciato giocatori come El Shaarawy, Cragno, El Kaddouri, Jonathas. Alla Lazio ho allenato Luka Romero, l'uomo del momento. La qualità nei nostri settori giovanili c'è, senza doverci svenare acquistando da fuori. Barella, Frattesi, Tonali ce li siamo costruiti in casa. Quando si parla però di giocatori di 18-19 anni bisogna anche ricordarsi che bisogna accompagnarli negli errori, che prima o poi commetteranno. Solo così diventeranno campioni». Con i valori di un calcio pulito, che Alessandro Calori scrisse già quasi un quarto di secolo fa.

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Coraggio. Passione. Libertà. Sono l'architrave che Alessandro Calori si porta appresso da quarant'anni di carriera. Il cacciatore di orizzonti si gode l'estate nella casa in Sardegna, alla Maddalena, che proprio il calcio gli ha consentito di acquistare. Non è un buen ritiro. A 57 anni vuole ancora allenare, possibilmente una prima squadra anche se la recente esperienza con la Primavera della Lazio gli ha aperto nuove prospettive, scenari, allargando la mentalità di un uomo che non smette mai di studiare e studiarsi. Ancora inseguito da quel gol segnato con il Perugia, che 23 anni fa tolse alla Juventus uno scudetto che sembrava ormai in tasca, è l'uomo che può girare a testa alta trasmettendo lealtà, valori e calcio pulito in un mondo che di marcio ha, purtroppo, ancora tanto.

Calori, cosa le resta di quel 14 maggio 2000 irreale al "Curi" dove lei, che da piccolo era tifoso juventino, divenne il più odiato dai sostenitori bianconeri?

«Si dava per scontata la vittoria della Juve perché il Perugia era ormai salvo, in realtà si tende a dimenticare che grazie a quel successo raggiungemmo l'Intertoto. Nove volte su dieci una squadra con in campo Van der Sar, al quale faccio un grosso in bocca al lupo per quanto gli è accaduto nelle ultime ore, Davids, Zidane, Del Piero e Inzaghi avrebbe vinto perché i valori, oltre che le motivazioni, erano nettamente superiori. Se ancora oggi siamo qui a parlarne significa che avvenne qualcosa di strano come per altro il diluvio che interruppe la partita, la pausa di oltre un'ora, il sole che spuntò all'improvviso e quel gol che segnai non pensando, com'era giusto che fosse, al fatto che da bambino rimanevo ore e ore incollato alla televisione a guardare la mia squadra del cuore nella quale spiccava Gaetano Scirea, l'uomo al quale mi sono sempre ispirato per come stava in campo, passando dal ruolo di libero a quello di centrocampista e persino mezza punta, un pioniere se lo valutiamo oggi in cui si punta tanto sulla costruzione dal basso e sui difensori con i piedi educati, ma mi affascinava anche la sua educazione, quasi timidezza, fuori dal campo».

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