Spalletti, furia per la vittoria: il retroscena sullo sfogo del ct

La qualificazione all’ultimo istante con la Croazia ha provocato molto nervosismo, poi smorzato. Ora si può giocare un Europeo con testa più leggera

È un grande classico, quello delle tensioni tra i giornalisti e il ct della Nazionale. Ci han persino scritto su libri di pregio (inarrivabile “Azzurro tenebra”) e dunque non è tanto il come, ma il perché che va indagato circa la reazione sopra le righe (oh sì: è servita pure la mediazione del presidente Gravina affinché il ct telefonasse, dopo l’una di notte, per chieder scusa al collega in questione) di Luciano Spalletti. Reazione che, ovviamente, non è frutto solo della tensione di una partita riacciuffata all’ultimo secondo, ma si porta appresso ragioni ben più consolidate. Queste ultime hanno a che fare con il carattere di un tecnico indiscutibilmente bravo che però si porta dietro una tendenza al complottismo, al timore dell’accerchiamento e la conseguente necessità di compattare il gruppo contro le influenze esterne.

E il fatto che la Nazionale, a causa del minor tempo per lavorare, di un gruppo meno coeso, della possibilità di maggiori infiltrazioni si presti di più a questa dinamica per lui perniciosa, innesca un surplus di nervosismo di fondo. Quello, appunto, che lo ha indotto a sbottare (anche in maniera poco elegante quando ha fatto riferimento ai «14 anni di “pippe” ancora da fare per arrivare alla mia età») nei confronti di chi gli ha chiesto se la formazione fosse frutto di un patto tra i giocatori. Non tanto perché abbia inteso che la squadra gli abbia imposto la formazione («con i giocatori io ci parlo»), quanto per il timore dell’esistenza di una talpa: «Glielo hanno detto e fa bene a ridirlo. Non si prenda delle licenze che non sono sue. Sono debolezze di chi racconta le cose. C’è un ambiente esterno e un ambiente interno e se qualcuno racconta le cose interne, fa il male della Nazionale». Un’intemerata preceduta da quella a Sky con toni altrettanto risentiti, ma questa volta su questioni tattiche: «Prudenza? Ma quale prudenza? Se il limite di non saper giocare una palla in uscita come nel primo tempo è questo qui, vuol dire siamo sotto il nostro standard di livello».

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La delusione del gruppo

E qui si innesta la seconda, contingente e dunque più insidiosa, questione: Spalletti ha dovuto rivedere le proprie posizioni tattiche, abbandonare l’idea di una squadra propositiva e offensiva per tornare al conservativo 3-5-2 che, appunto, offre più sicurezze ai giocatori. La frustrazione del ct vive nel fatto che non sono state assimilate le sue nozioni: troppe e in poco tempo, era evidente fin dal primo giorno a Coverciano, a un gruppo di giocatori mentalmente saturi dopo una stagione logorante. Tanto è vero che nelle due amichevoli pre Europeo la sensazione era che in campo gli azzurri si preoccupassero più di mettere in pratica le richieste del ct che di giocare con la testa libera. Filtra, poi, un certo fastidio da parte del gruppo per le molte dichiarazioni a sottolineare pubblicamente errori e delusioni. Quei «sbagliano tanti palloni in uscita», «troppo timidi, nel primo tempo, ma non c’entra il modulo. C’entra che ci si accontenta», «mi aspetto più roba dai miei calciatori, perché a volte ce lo fanno vedere». E poi un attaccante pigro, e Jorginho che si nasconde...

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Inizia un 'nuovo' Europeo

Non è piaciuta, infine l’aggressività con cui ha approcciato i giocatori sul prato di Lipsia subito dopo il fischio finale, tanto è vero che è stato l’arbitro olandese Makkelie a spingere il ct verso gli spogliatoi perché si era reso conto della sua eccessiva tensione. Intendiamoci: non c’è nessuna aria di ammutinamento, così come non ci sono né “iene” (anzi…) né “belle gioie” intorno alla Nazionale. Ci sono, piuttosto, curiosità nel verificare se vi sarà una crescita e la speranza di una sorpresa, soprattutto ora che il tabellone pare girare verso l’azzurro stabile, con la sola Inghilterra tra le big nella parte in cui sta l’Italia. Il fatto è che a Spalletti deve parere proprio una provocazione che uno con la sua filosofia calcistica debba ritenersi sollevato a vincere sempre di “corto muso”, con il portiere migliore in campo per tre gare su tre. Ma c’è la possibilità di giocare un altro Europeo con la testa più leggera, a cominciare proprio da quella di Spalletti anche se lui ricorda: «Il veleno se lo inetta da solo. Non voglio che mi si metta ancora più pressione di quella che mi mette la gente». Meglio, invece, che si abitui in fetta perché chi guida la Nazionale non ha mai avuto, non ha e non avrà mai il privilegio dell’immunità.

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È un grande classico, quello delle tensioni tra i giornalisti e il ct della Nazionale. Ci han persino scritto su libri di pregio (inarrivabile “Azzurro tenebra”) e dunque non è tanto il come, ma il perché che va indagato circa la reazione sopra le righe (oh sì: è servita pure la mediazione del presidente Gravina affinché il ct telefonasse, dopo l’una di notte, per chieder scusa al collega in questione) di Luciano Spalletti. Reazione che, ovviamente, non è frutto solo della tensione di una partita riacciuffata all’ultimo secondo, ma si porta appresso ragioni ben più consolidate. Queste ultime hanno a che fare con il carattere di un tecnico indiscutibilmente bravo che però si porta dietro una tendenza al complottismo, al timore dell’accerchiamento e la conseguente necessità di compattare il gruppo contro le influenze esterne.

E il fatto che la Nazionale, a causa del minor tempo per lavorare, di un gruppo meno coeso, della possibilità di maggiori infiltrazioni si presti di più a questa dinamica per lui perniciosa, innesca un surplus di nervosismo di fondo. Quello, appunto, che lo ha indotto a sbottare (anche in maniera poco elegante quando ha fatto riferimento ai «14 anni di “pippe” ancora da fare per arrivare alla mia età») nei confronti di chi gli ha chiesto se la formazione fosse frutto di un patto tra i giocatori. Non tanto perché abbia inteso che la squadra gli abbia imposto la formazione («con i giocatori io ci parlo»), quanto per il timore dell’esistenza di una talpa: «Glielo hanno detto e fa bene a ridirlo. Non si prenda delle licenze che non sono sue. Sono debolezze di chi racconta le cose. C’è un ambiente esterno e un ambiente interno e se qualcuno racconta le cose interne, fa il male della Nazionale». Un’intemerata preceduta da quella a Sky con toni altrettanto risentiti, ma questa volta su questioni tattiche: «Prudenza? Ma quale prudenza? Se il limite di non saper giocare una palla in uscita come nel primo tempo è questo qui, vuol dire siamo sotto il nostro standard di livello».

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