"Milanista da bambino, all'Inter per professione": Casadei esclusivo

Il 21enne si sta facendo largo in un Chelsea pieno di stelle: "Quest'anno resto qui, concorrenza durissima. Vedo Maldini e Gabbia e sogno la Nazionale A"

L’appuntamento è al ristorante messicano “Ixchel” in King’s Road. Quartiere Chelsea, quattro passi da Sloane Square. Nome fascinoso dedicato alla dea maya della luna. Locale “trendy”, ambiente “cozy” su tre livelli: musica, tequila bar. È qui che abbiamo incontrato Cesare Casadei, 21enne talento “azzurrino” del Chelsea, autore di una prestazione maiuscola giovedì a Stamford Bridge nel match di Conference League contro i belgi del Genk vinto 4-2 dai “Blues” di Enzo Maresca. La scelta del “rendez-vous” è caduta su “Ixchel” perché uno dei co-proprietari del ristorante è il manager anglo-iraniano Ali Barat, Golden Agent in carica, titolare dell’agenzia Epic Sports e da poche settimane nuovo procuratore (assieme al socio lombardo Francesco Facchinetti) del promettente centrocampista ravennate. Che ci ha concesso un’intervista esclusiva. Cesare, cominciamo da una statistica Uefa nel “match report” di Chelsea-Genk: alla voce “accuracy”, precisione, hai realizzato 98 passaggi azzeccati su 99. Roba da medaglia d’oro olimpica nello “skeet”..."Giuro che non me n’ero accorto. È perché quando sei in campo pensi solo a essere concentrato al massimo, non te ne rendi neanche conto. Pensi soprattutto a non sbagliare, a ridurre al minimo la percentuale di errore, a essere preciso, meglio precisissimo".

Conta anche il ruolo, giusto?

"Sì perché in questa stagione, rispetto al Leicester, il mister mi ha chiesto di giocare più dietro. Diciamo da mediano, centrocampista di contenimento. Quando la tua posizione è più avanzata, puoi anche permetterti di assumerti rischi. In copertura no, un errore sarebbe più grave. Talora fatale. Così io faccio cose semplici, per la squadra, senza azzardi. Tocco e lavoro più palloni quindi devo saperli gestire bene. È positivo imparare ruoli diversi. Può aiutare in futuro, nel prosieguo della carriera. Devo essere sempre pronto in ogni posizione in cui lui vuole che io giochi".

Insomma sei diventato un “tuttocampista”.

"Mi piace il termine, sì. In questo ruolo devo svolgere le due fasi: quella di costruzione, offensiva, e quella di rottura, difensiva. Le mie doti atletiche sono d’aiuto per recitare bene la doppia parte".

Oltre alla precisione quasi “robotica” è anche un discorso di personalità...

"Sono un professionista che non si fa influenzare dagli errori. Tutti gli umani possono commetterne. Ma poi bisogna subito reagire. È una questione di testa, di forza mentale. Questa per me è la personalità in campo. Non abbattersi mai, lottare fino all’ultimo respiro. Essere positivi, vedere sempre il bicchiere mezzo pieno".

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Chelsea, concorrenza micidiale. Grazie Maresca

Non dev’essere facile mordere il freno alla tua età, costretto in panchina causa un organico straboccante di campioni e di talenti come quello dei “Blues”.

"La concorrenza è micidiale. Siamo tantissimi. Del resto il Chelsea è uno dei club più forti e famosi del mondo disponendo di una rosa di primissimo ordine. Ciò rappresenta anche una difficoltà, si fa per dire, per il mister chiamato a gestire un “roster” extra large... ".

Il tuo rapporto con lui? Sei l’unico giocatore italiano del Chelsea.

"Quando ho visto in estate arrivare Maresca a Stamford Bridge ero emozionato. Ci conoscevamo già perché è stato il mio allenatore nei primi sei mesi della scorsa stagione al Leicester City. Non sono però l’unico ad aver già lavorato con lui: anche Dewsbury-Hall arriva dal Leicester mentre Palmer e Lavia giocavano nel City quando Maresca era collaboratore tecnico di Guardiola a Manchester. Il mister è stato molto chiaro fin dal primo giorno: tutti hanno capito le sue idee e come voleva giocare. Il fatto di essere connazionali mi agevola solo dal punto di vista della lingua, nel senso che posso capire al volo i suoi dettami tecnici. Per il resto sono uno della rosa come tutti gli altri: nessun privilegio".

Raccontaci altre cose del tecnico salernitano...

"Mi piace il modo in cui pensa e vede il calcio. Stiamo lavorando bene sotto la sua guida. Ritengo sia un grande allenatore perché è in grado di tirare fuori il meglio da tutti. È esigente, ma è come dovrebbe essere. Siamo al Chelsea, abbiamo grandi aspettative".

E le tue ambizioni, i tuoi obiettivi?

"Diventare un calciatore importante per il Chelsea. Darò sempre il massimo, il meglio di me, lavorando duro negli allenamenti per continuare a migliorare e accumulare minutaggio. Finora ho giocato titolare nell’ultima partita di Coppa di Lega e nell’ultima di Conference League, mi manca ancora il debutto nell’attuale Premier... ".

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"Milanista da bambino, interista per professione"

La scorsa stagione invece...

"Stavo andando benone in prestito alle 'Foxes' (ndr: 25 partite, 3 gol e 2 assist incluse le Coppe nazionali) poi trionfatrici in Championship ovvero promosse in Premier. A metà gennaio però il Chelsea, proprietario del mio cartellino fino al 2028, mi ha richiamato a casa. E con Pochettino è stato abbastanza difficile per me. Ho disputato solo spezzoni, 11 presenze ma un totale di appena 71 minuti in campo, al massimo nell’ultimo quarto d’ora e soprattutto subentri da 1’, 4’, 5’, 8’... Non ero molto felice. Tutti vorrebbero giocare un po’ di più".

In estate ci sono state anche voci di mercato che ti hanno riguardato: Napoli, Milan, pure la Juve.

"Dopo aver parlato con l’allenatore, ero sicuro al 100% che la decisione di restare sarebbe stata la migliore. Maresca mi ha detto cosa ne pensa, non ho avuto dubbi. Sono rimasto qui senza valutare possibili prestiti. Né al momento lo penso per il prossimo mercato invernale. Non potrei essere più orgoglioso di giocare per il Chelsea. Lo spirito di competizione è stato proprio uno dei motivi per cui ho deciso di non andar via".

Ti hanno paragonato a Milinkovic-Savic, a Rodri e anche a Ballack, ex “motore” del Chelsea...

"Ne sono lusingato, mi sono ispirato al serbo ora in Arabia. Ci accomunano ruolo e caratteristiche fisiche: io sono alto 1,90 e peso 88 chili. Ma ho tanta strada da percorrere. Da bambino avevo come idolo Kaká e parteggiavo per il Milan. Sono però diventato un professionista e la mia prima squadra in A è stata l’Inter, con cui non nutro nessun rancore per la cessione".

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"Guardo Pisilli, Maldini e Gabbia e sogno l'Italia"

Il complimento più bello, il meno atteso?

"Quelli che mi ha fatto il centrocampista uruguaiano 'El Pajarito' Valverde del Real Madrid dopo i Mondiali Under 20 dell’anno scorso. Sono rimasto sorpreso e onorato nel leggere il suo post sul mio profilo Instagram".

Quel Mondiale, disputato in Argentina, in cui hai ricevuto il premio di miglior giocatore del torneo e sei risultato pure il capocannoniere con 7 reti...

"Ma ho vinto solo la medaglia d’argento, l’avrei barattata con l’oro lasciando quei titoli individuali ad altri. Il calcio è uno sport collettivo. L’Italia non ha mai vinto un Mondiale Under 20, ci tenevamo tantissimo. Purtroppo nella finale a La Plata, l’Uruguay è sceso in campo caricatissimo, più aggressivo e 'cattivo' di noi. E il tifo era tutto per loro...".

Pensieri azzurri?

"Ogni calciatore italiano sogna d’indossare la maglia della Nazionale A. Bisogna meritarsela. Col lavoro e l’umiltà. Ora io gioco nell’Under 21. E guardo Pisilli, Daniel Maldini, Gabbia convocati da Spalletti per prima la volta. Bello... ".

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L’appuntamento è al ristorante messicano “Ixchel” in King’s Road. Quartiere Chelsea, quattro passi da Sloane Square. Nome fascinoso dedicato alla dea maya della luna. Locale “trendy”, ambiente “cozy” su tre livelli: musica, tequila bar. È qui che abbiamo incontrato Cesare Casadei, 21enne talento “azzurrino” del Chelsea, autore di una prestazione maiuscola giovedì a Stamford Bridge nel match di Conference League contro i belgi del Genk vinto 4-2 dai “Blues” di Enzo Maresca. La scelta del “rendez-vous” è caduta su “Ixchel” perché uno dei co-proprietari del ristorante è il manager anglo-iraniano Ali Barat, Golden Agent in carica, titolare dell’agenzia Epic Sports e da poche settimane nuovo procuratore (assieme al socio lombardo Francesco Facchinetti) del promettente centrocampista ravennate. Che ci ha concesso un’intervista esclusiva. Cesare, cominciamo da una statistica Uefa nel “match report” di Chelsea-Genk: alla voce “accuracy”, precisione, hai realizzato 98 passaggi azzeccati su 99. Roba da medaglia d’oro olimpica nello “skeet”..."Giuro che non me n’ero accorto. È perché quando sei in campo pensi solo a essere concentrato al massimo, non te ne rendi neanche conto. Pensi soprattutto a non sbagliare, a ridurre al minimo la percentuale di errore, a essere preciso, meglio precisissimo".

Conta anche il ruolo, giusto?

"Sì perché in questa stagione, rispetto al Leicester, il mister mi ha chiesto di giocare più dietro. Diciamo da mediano, centrocampista di contenimento. Quando la tua posizione è più avanzata, puoi anche permetterti di assumerti rischi. In copertura no, un errore sarebbe più grave. Talora fatale. Così io faccio cose semplici, per la squadra, senza azzardi. Tocco e lavoro più palloni quindi devo saperli gestire bene. È positivo imparare ruoli diversi. Può aiutare in futuro, nel prosieguo della carriera. Devo essere sempre pronto in ogni posizione in cui lui vuole che io giochi".

Insomma sei diventato un “tuttocampista”.

"Mi piace il termine, sì. In questo ruolo devo svolgere le due fasi: quella di costruzione, offensiva, e quella di rottura, difensiva. Le mie doti atletiche sono d’aiuto per recitare bene la doppia parte".

Oltre alla precisione quasi “robotica” è anche un discorso di personalità...

"Sono un professionista che non si fa influenzare dagli errori. Tutti gli umani possono commetterne. Ma poi bisogna subito reagire. È una questione di testa, di forza mentale. Questa per me è la personalità in campo. Non abbattersi mai, lottare fino all’ultimo respiro. Essere positivi, vedere sempre il bicchiere mezzo pieno".

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