Tebas su Champions e Superlega
Le coppe europee e in particolare la Champions stanno allargando il divario economico fra i club che partecipano e i club che non partecipano. E in Italia nelle ultime dieci stagioni solo 7 club sono andati in Champions. Questa tendenza non spaccherà in due i campionati nazionali?
"Questa è una delle mie preoccupazioni e la espongo da anni. Ci sono squadre più grandi, per storia e bacino, ma noi che organizziamo il calcio dobbiamo evitare che questo divario naturale si amplifichi e si allarghi troppo, perché ne va della vita stessa del sistema industriale del calcio. La distribuzione del denaro generato dalle competizioni va gestita, a livello internazionale e nazionale, non dobbiamo cambiare il calcio: la Juventus deve rimanere la Juventus, il Milan, il Real eccetera, ma non dobbiamo permettere che aumenti il divario perché sarebbe la distruzione dei campionati nazionali".
Cosa pensa della nuova Champions?
"Sono scettico e mi preoccupa. Voglio vedere come funzionerà: a livello sportivo è un po’ complicato, forse funzionerà come prodotto televisivo, ma il rischio è quello che cannibalizzi i campionati nazionali. Nel prossimo triennio ci sarà una progressiva cannibalizzazione perché, se gli introiti nazionali sono inferiori a quelli europei e quelli europei vengono distribuiti solo a una ristretta élite, aumenterà quel divario di cui parlavamo prima".
C’è chi mette in discussione il senso dei campionati nazionali nel 2024, in un’era in cui lo sport è globale. Penso al tennis, al ciclismo, alla MotoGP, alla Formula 1, all’atletica leggera, tutte discipline in cui esiste un prodotto globale e i campionati nazionali sono molto marginali. È un destino che dovrà affrontare anche il calcio?
"No, non sono d’accordo con questi esempi... E non è corretto paragonare sport diversi ed è l’importanza dello sport in ogni luogo. La F1 è globale perché non c’è senso di apparenza, per esempio. E comunque la Liga spagnola genera molto di più della Formula 1 a livello globale, è un campionato nazionale ma anche globale. E così è la Serie A. Non credo che sia corretto porre il problema in questo modo: è come dire che il cinema italiano non esiste più perché c’è Netflix: le serie italiane e i film italiani continueranno a esistere. Non faremo più le serie solo in inglese. C’è una corrente di pensiero che pensa molto alla globalizzazione, forse per certe politiche europee. La Serie A in Italia è molto più importante della Liga o della Premier: bisogna conservare questo. Qualcuno non vuole che sia così a beneficio di un gruppo ristretto di squadre e non per il beneficio dei sistemi nazionali".
Fa riferimento anche alla Superlega? E come pensa sia cambiato lo scenario dopo la sentenza del 21 dicembre della Corte di Giustizia europea?
"Innanzitutto c’è una sfumatura da chiarire: non credo che la Superlega voglia essere un’alternativa, ma proprio sostituire il sistema di competizioni europee che è sempre stato un modello di successo che credo vada mantenuto. Il dibattito si è intossicato e credo che la sentenza ammetta il monopolio dell’Uefa, ma dica che esiste una posizione dominante perché non c’è regolamentazione su come organizzare una competizione all’interno dell’Uefa e che quindi l’Uefa debba provvedere a regolamentare questo. Dice anche cose importanti: devono essere create norme più trasparenti, con la partecipazione degli stakeholder interessati e questo accade un pochino nell’Uefa, ma non accade per niente nella Fifa che impone dall’alto tutto, a partire dal calendario. Alla Fifa dei nostri interessi non gliene frega niente: occupano tante settimane all’anno con le loro competizioni. E poi dicono di ridurre da 20 a 18 le squadre dei campionati: un danno per l’industria nazionale. Nella Fifa siede gente che non ha mai avuto un club".