«Insane». Cioè pazzesco. Folle. Senza senso. Ma in realtà un senso ce l’ha. Inebriante. Clamoroso. Commovente. Un senso che sta proprio in quell’aggettivo usato da Taylor Fritz - bello come sempre, bravo più che mai eppure con le lacrime agli occhi: non per la sconfitta, ma per l’impotenza - allorché prende il microfono e guarda verso Sinner. Che è il nuovo Master (and Commander) del tennis mondiale. Che lo ha tritato in meno di un’ora e mezza con un duplice 6-4 (replica del risultato nel girone), ancora più frustrante dei tre set a zero con cui lo aveva mortificato a domicilio nella finale degli Us Open. Sommerso e fin stravolto dall’affetto di un pubblico generosissimo, anche perché ammirato dalla sua strenua resistenza, quasi scoppia a piangere, l’americano. Perché stavolta pensava di aver capito come si fa, o si dovrebbe, o si dovrebbe, e invece no. Non si può fare.
Sinner stratosferico
Se Sinner è così, finché sarà così, non ce n’è, non ce ne sarà per nessuno. È italiano. È nostro. È anche di Torino. Che lo ha adottato, che gli ha donato un amore mai visto e ora corrisposto, che adesso vuole dargli pure la cittadinanza onoraria. Già gli ha dedicato la Mole. Una volta si consegnavano le chiavi della città. Fategliele. Portategliele. E possibilmente lasciategli le Finals qui più a lungo possibile. Perché Torino è casa: magari non la più grande, ma certo la più calda e accogliente.