Jannik Sinner piace. Eccome se piace. Perché in lui la gente, più o meno comune, vede il lato migliore dell’essere campione, ma non solo. La mamma vede il figlio perfetto; il tifoso vede l’idolo che non va mai sopra le righe. Quando vince (tanto), e quando perde (quelle poche, ma solitamente terribili volte). Sempre con stile. Il rosso che spacca, in campo e pure in tv, testimonial e tennista leader, ha caratterizzato la sua ancor breve carriera - ha 23 anni, ma sembra di “frequentarlo” da una vita - con la personalità forte del ragazzo gentile. Gentile, sì, non remissivo, sia chiaro. Perché dentro ha un animo bellicoso che lo induce a non arrendersi mai. Tanto che i suoi trionfi sono conditi, spesso, di dolore e sofferenza, di caviglie storte, di addominali ballerini, di vesciche intolleranti al gesto, di anca sbilenca, di stomaco andante, di polso contuso (l’ultimo, nella semifinale di New York che ha creato attimi di panico) e via discorrendo. “Ahi”, è il massimo che sentirete. E la racchetta, amica quotidiana, non rischia di essere spaccata in stile Rublev o Alcaraz (sì, Carlitos in America ha perso le staffe, nel giorno dell’eliminazione precoce). Il massimo che si è concesso, quest’anno, in Australia durante la finale con Daniil Medvedev, poi vinta in rimonta al quinto set, è stato un buffetto alla bottiglia quando la palla non andava dove lui voleva: non sia mai, maltrattamento, tremendo maltrattamento…
I colleghi tifosi
D’altronde, i più grandi complimenti a Jannik arrivano proprio dai colleghi. Jack Draper, battuto in tre set tosti agli Us Open, prima e dopo il confronto, ha ribadito quanto lui e Sinner «si sentano spesso, anche via messaggi, nei momenti felici e anche in quelli brutti». Perché nel mondo chiuso e particolarmente asettico del tennis non è semplice coltivare i rapporti, in giro per il mondo, tra un albergo e uno spogliatoio. E allora se hai un rivale a te caro, lo tieni stretto. «Un difetto di Jannik? Forse è troppo buono», la conclusione dell’inglese condita da un sorriso grande così.