La cena con Thiago Motta
Oltre che la squadra, d’altronde, è giovane anche l’allenatore.
«Certo. Ho avuto il piacere di andare a cena con lui e gli ho detto che, da allenatore di 42 anni, come lui, commettevo errori che ora non faccio. Bisogna viverli sulla pelle quegli errori, si migliora così, ma sono tranquillo, lui ha le capacità per far reagire la squadra».
Si è parlato anche di contrasti con i giocatori.
«Mai conosciuto allenatori che non hanno avuto conflitti con i giocatori. Mai. È una dinamica normale e i contrasti arricchiscono, aumentano il potenziale della squadra. Vi racconto un insegnamento di Rudic, quando gli facevo da assistente. Lui non era esattamente un tipo morbido, era abbastanza autoritario, ma mi disse: attento Sandro, un allenatore non può mai essere accecato dal suo egocentrismo, sì, è vero, bisogna farsi rispettare, ma rispettare anche punti di vista diversi dal nostro, perché possono migliorare le cose. Un buon allenatore non si chiude mai in se stesso, perché in una squadra, in una famiglia, il dialogo è sempre la soluzione».
Ha detto di una cena con Thiago: che impressione le ha fatto?
«Che ha una grande, grandissima passione per il lavoro. E una voglia di confrontarsi e misurarsi incredibile. Ci siamo trasmessi un’energia pazzesca, lui poi è una spugna, è curioso, chiede, assorbe. E un gran lavoratore: arriva alla Continassa alle 8 del mattina ed esce alle 7 di sera. È veramente un passionale. E chi ha passione, in questo mestiere, alla lunga riesce: non ho dubbi sulla crescita come allenatore. Anzi ai miei amici pessimisti dico: attenzione, che questo poi fa la fine di Ancelotti, cacciato dalla Juve diventato uno dei più grandi di tutti i tempi. Ti ricordi come lo trattavano? Mamma mia se ci penso... Certo, non dobbiamo sbracare, ci sono degli obiettivi minimi che vanno raggiunti, ma bisogna tenere duro su Motta. Io magari non capisco di calcio, ma di allenatori un po’ ne capisco e percepisco in lui le basi di una grande carriera».