Pagina 2 | “A cena con Motta, vi racconto. E attenzione, non facciamo come Ancelotti”

Buongiorno Campagna, alla vigilia del derby, che consiglio darebbe a Motta?

«Di essere positivo e trasmettere positività alla squadra. Perché, per me, la squadra è in crescita, nonostante i risultati negativi e il pessimismo che aleggia fra gli juventini. Ma io non sono pessimista, vedo una squadra a cui basta poco per trasformare i pareggi in vittorie, ci vuole positività, empatia, un’energia forte che sono sicuro Motta abbia. Non si deve abbattere, deve coinvolgere tutti i giocatori della rosa, deve mandarli in campo come squadra, con gli occhi avvelenati e la leggerezza nell’accettare le sfide. Siamo alla vigilia di un ciclo di ferro che può trasformarsi nella svolta della stagione, perché si sa che le stagioni svoltano in una manciata di partite chiave e quelle partite per la Juventus possono essere proprio le prossime. Serve entusiasmo, energia e compattezza: Motta deve dare fiducia alla squadra, che forse l’ha un po’ persa nell’ultimo mese, deve infondere loro la voglia della sfida. Quella per la quale, anche quando vai in svantaggio non fai mai prevalere l’ansia, ma la volontà di reagire. I giocatori devono pensare alla partita minuto per minuto, una giocata dopo l’altra, senza preoccupazione e devono farlo insieme, all’unisono. Così il ciclo può diventare un filotto di vittorie».

Perché, invece, la Juventus si è fatta rimontare in modo quasi paradossale nelle ultime uscite?

«In questo momento la squadra è fragile psicologicamente e un evento negativo, chessò, la scivolata, il rigore causato, vengono vissuti con un peso maggiore di quello che dovrebbero avere. Accettare la sfida è una questione di leggerezza. Ci sono eventi contrari nella vita o, nel caso dello sport, in una partita: bisogna reagire senza panico e senza pensare alle conseguenze dell’evento accaduto, senza paura di fallire. Questa fragilità è tipica delle squadre più giovani, come è la Juventus in questo momento: quando vanno bene le cose si pensa di aver superato il momento difficile, ma poi appena arriva lo scivolone e non si ha la capacità di reazione. Ecco questo va corretto e, secondo me, Motta può farcela, ha gli strumenti per farlo, deve parlare alla squadra, confrontarsi, aprirsi e farli aprire».

 

 

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La cena con Thiago Motta

Oltre che la squadra, d’altronde, è giovane anche l’allenatore.

«Certo. Ho avuto il piacere di andare a cena con lui e gli ho detto che, da allenatore di 42 anni, come lui, commettevo errori che ora non faccio. Bisogna viverli sulla pelle quegli errori, si migliora così, ma sono tranquillo, lui ha le capacità per far reagire la squadra».

Si è parlato anche di contrasti con i giocatori.

«Mai conosciuto allenatori che non hanno avuto conflitti con i giocatori. Mai. È una dinamica normale e i contrasti arricchiscono, aumentano il potenziale della squadra. Vi racconto un insegnamento di Rudic, quando gli facevo da assistente. Lui non era esattamente un tipo morbido, era abbastanza autoritario, ma mi disse: attento Sandro, un allenatore non può mai essere accecato dal suo egocentrismo, sì, è vero, bisogna farsi rispettare, ma rispettare anche punti di vista diversi dal nostro, perché possono migliorare le cose. Un buon allenatore non si chiude mai in se stesso, perché in una squadra, in una famiglia, il dialogo è sempre la soluzione».

Ha detto di una cena con Thiago: che impressione le ha fatto?

«Che ha una grande, grandissima passione per il lavoro. E una voglia di confrontarsi e misurarsi incredibile. Ci siamo trasmessi un’energia pazzesca, lui poi è una spugna, è curioso, chiede, assorbe. E un gran lavoratore: arriva alla Continassa alle 8 del mattina ed esce alle 7 di sera. È veramente un passionale. E chi ha passione, in questo mestiere, alla lunga riesce: non ho dubbi sulla crescita come allenatore. Anzi ai miei amici pessimisti dico: attenzione, che questo poi fa la fine di Ancelotti, cacciato dalla Juve diventato uno dei più grandi di tutti i tempi. Ti ricordi come lo trattavano? Mamma mia se ci penso... Certo, non dobbiamo sbracare, ci sono degli obiettivi minimi che vanno raggiunti, ma bisogna tenere duro su Motta. Io magari non capisco di calcio, ma di allenatori un po’ ne capisco e percepisco in lui le basi di una grande carriera».

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La situazione di Vlahovic

Come vede il derby?
«È la più dura delle tante partite che ci aspettano perché viene dopo la sconfitta contro il Milan. Il Toro non prende gol in casa e sarà dura. Ci vuole voglia di lottare e sacrificarsi. Dobbiamo giocarcela a viso aperto, con grinta e la leggerezza di cui parlavo prima e tanta, tanta cattiveria agonistica. È un derby, giochiamolo da derby».

Lei ha affrontato tantissime volte (e qualche volte li ha anche allenati) i giocatori serbi. Cosa pensa della situazione psicologica di Vlahovic?
«Penso che dei serbi mi hanno sempre colpito gli occhi di ghiaccio e la capacità di non arrendersi mai. Pensate alla loro squadra di pallanuoto alle ultime Olimpiadi. Perdono tre partite, stanno perdendo la quarta contro il Giappone, che non è esattamente una potenza della pallanuoto, e riescono a vincerla in qualche modo all'ultimo secondo. Da quel momento, sull'orlo del baratro dove erano finiti, trovano la forza di risalire e vanno a vincere l'oro. Anche Guardiola ha detto che quello è un caso che va studiato. Ecco, a Vlahovic dico di trovare quegli occhi di ghiaccio e quella capacità del suo popolo di trovarsi sull'orlo del baratro e tirarsi fuori, andando poi a vincere».

Le piace di più Thuram o Conceiçao?
«Tutti e due. Due ottimi giocatori, a dimostrazione che c'è qualcosa di buono in questa stagione. Direi che finora hanno performato da sette, forse sette e mezzo. Thuram mi piace per come gioca con e per la squdra, Conceiçao è divertente, ma deve guardare di più il gioco e far filtrare la palla in area dopo il primo dribbling. Non sempre ha la testa alta, guarda un po' troppo il pallone, ma è giovane, imparerà a capire gli spazi e sfruttarli con i suoi passaggi».

Curiosa questa invasione di figli d'arte, non trova?
«E ce ne sono tanti anche nella pallanuoto. Dipende molto dai genitori che non devono forzare i figli a seguire le proprie orme. Ci avevo provato con il mio, ma a undici anni mi ha detto: per te è un lavoro, per me è un hobby. E ho capito che avrebbe mai giocato a pallanuoto, perché come hobby è... molto faticoso (ride). Credo che sia Thuram che Conceiçao siano padri molto attenti e, per certi versi, anche duri. Quell'abbraccio tra padre e figlio dopo Juventus-Milan comunque mi ha commosso».

 

 

 

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La cena con Thiago Motta

Oltre che la squadra, d’altronde, è giovane anche l’allenatore.

«Certo. Ho avuto il piacere di andare a cena con lui e gli ho detto che, da allenatore di 42 anni, come lui, commettevo errori che ora non faccio. Bisogna viverli sulla pelle quegli errori, si migliora così, ma sono tranquillo, lui ha le capacità per far reagire la squadra».

Si è parlato anche di contrasti con i giocatori.

«Mai conosciuto allenatori che non hanno avuto conflitti con i giocatori. Mai. È una dinamica normale e i contrasti arricchiscono, aumentano il potenziale della squadra. Vi racconto un insegnamento di Rudic, quando gli facevo da assistente. Lui non era esattamente un tipo morbido, era abbastanza autoritario, ma mi disse: attento Sandro, un allenatore non può mai essere accecato dal suo egocentrismo, sì, è vero, bisogna farsi rispettare, ma rispettare anche punti di vista diversi dal nostro, perché possono migliorare le cose. Un buon allenatore non si chiude mai in se stesso, perché in una squadra, in una famiglia, il dialogo è sempre la soluzione».

Ha detto di una cena con Thiago: che impressione le ha fatto?

«Che ha una grande, grandissima passione per il lavoro. E una voglia di confrontarsi e misurarsi incredibile. Ci siamo trasmessi un’energia pazzesca, lui poi è una spugna, è curioso, chiede, assorbe. E un gran lavoratore: arriva alla Continassa alle 8 del mattina ed esce alle 7 di sera. È veramente un passionale. E chi ha passione, in questo mestiere, alla lunga riesce: non ho dubbi sulla crescita come allenatore. Anzi ai miei amici pessimisti dico: attenzione, che questo poi fa la fine di Ancelotti, cacciato dalla Juve diventato uno dei più grandi di tutti i tempi. Ti ricordi come lo trattavano? Mamma mia se ci penso... Certo, non dobbiamo sbracare, ci sono degli obiettivi minimi che vanno raggiunti, ma bisogna tenere duro su Motta. Io magari non capisco di calcio, ma di allenatori un po’ ne capisco e percepisco in lui le basi di una grande carriera».

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