Vlahovic e Batistuta: caratteri simili
Il banco mercoledì lo ha fatto saltare Vlahovic: quale dei due gol le è piaciuto di più?
«Eh... (ride). Il primo. Perché ho visto un movimento da attaccante vero, quello che si chiede quando si insegna ad attaccare l’area di rigore. Lui capisce che la palla può andare sul primo palo e fa un movimento in anticipo sul marcatore: poi è bravo a trovare il tempo sulla palla che batte per terra, ma anche se non avesse fatto gol sarebbe stato comunque un movimento da far vedere ai giovani attaccanti. Il tiro a giro sul palo lontano del secondo gol lui ce l’ha nel suo repertorio, ma mi è piaciuto molto il fatto che in dieci sia voluto andare a pressare assieme a Conceiçao per recuperare la palla, provocando l’errore del giocatore del Lipsia e trasformandolo poi in gol con una magia. Ma l’ho visto molto bene anche spalle alla porta, ha pulito molti palloni. È stato vivo, dinamico. La strada è quella giusta: se la Juve trova i gol di Vlahovic con continuità può essere un’antagonista per l’Inter e il Napoli in campionato e anche in Europa può fare la sua figura».
Che ricordo ha del giovane Vlahovic arrivato a Firenze?
«Dusan quando è arrivato a Firenze non poteva ancora essere tesserato per via dell’età (fece il primo stage alla Fiorentina a novembre 2017, non ancora diciottenne, ndr) e mi aveva colpito il fatto che capiva e parlava l’italiano: era già avanti con la testa. L’altra cosa che mi ha sempre colpito, e per la quale lo porto come esempio ai miei ragazzi, era il fatto che lui, se non giocava in prima squadra, mi chiamava per venire in Primavera perché voleva giocare. A lui interessava soltanto la partita, indipendentemente dalla squadra: aveva grande fame, grande voglia di migliorare. Ed è normale che un giocatore con un talento così, con quella fame poi diventi un top player».
Si dice che proprio questa fame, questo pretendere moltissimo da se stesso, a volte si trasformi in un limite per Vlahovic, portandolo a farsi condizionare negativamente da un errore e togliendogli serenità. Lei lo conosce bene: è davvero questo l’aspetto che deve migliorare per fare l’ultimo salto di qualità?
«Sì. Lui è molto critico con se stesso, cerca la perfezione, ma la perfezione non esiste, specialmente in una stagione intera: ci sono partite in cui non puoi essere perfetto, ma puoi essere utile alla squadra. Quindi è importante non fossilizzarsi su un errore o su una cosa che non va e aiutare la squadra con una corsa in più, con un attacco alla profondità in più, con uno scarico in più. Dusan lo sa, però questa sua fame, che è una cosa sicuramente buona, a volte lo porta a chiedere troppo a se stesso».
Ha detto che spesso parla di Vlahovic come esempio ai ragazzi che allena adesso. A Vlahovic parlava mai di Batistuta, suo compagno nella Fiorentina dal 1995 al ‘99?
«Sì, certamente. Batistuta era un altro che aveva un talento innato dal punto di vista della potenza, del colpo di testa, dell’attacco alla profondità, però era anche uno che aveva fame: era sempre il primo ad arrivare al campo e l’ultimo ad andare via, voleva sempre migliorarsi. Era molto critico con se stesso, chiedeva molto al suo fisico, alla sua prestazione. In Dusan rivedo proprio questo atteggiamento: sono simili caratterialmente».