Da Rouhi a Mbangula, piccoli ma già grandi: Motta e la ricetta Juve

Giocano titolari anche contro le big e se sbagliano restano in campo. Thiago considera i giovani in rosa al pari dei più esperti

TORINO - Definire la Juventus una squadra dall’anima europea, proprio alla vigilia di una trasferta insidiosa come quella di Lipsia, può risultare un azzardo. Il primo esame in Champions League, di fronte al Psv, è stato superato a pieni voti, ma la strada verso la laurea internazionale appare ancora lunga. E, però, è pur vero che alcuni tratti della creatura che Thiago Motta sta plasmando sembrano avere un respiro che valica i confini nazionali. Il costante proposito di produrre gioco costruendo dal basso, anziché fossilizzarsi sulla distruzione delle trame avversarie, è soltanto uno. Un altro, invece, riguarda la naturalezza con cui il neo tecnico bianconero si affida ai giovani, che siano il frutto del lavoro nel vivaio o nell’area scouting poco cambia.

Juve, Thiago Motta non ha paura di lanciare i giovani

L’impiego in prima squadra di ragazzi nati ampiamente dopo il giro di boa del Duemila, in realtà, abbraccia solo una minima parte del ragionamento. Perché un conto è concedere una gratificante presenza “tra i grandi” nei minuti di recupero di una partita in cassaforte e un altro è ritenere a tutti gli effetti elementi dell’organico i suddetti giovincelli. Thiago Motta, in questo primo mese e mezzo di stagione, ha mostrato pregi e difetti, ma di certo non può essere additato come un tecnico che non creda nei talenti in erba. Il suo esordio sulla panchina bianconera è stato accompagnato dalla titolarità di Mbangula, classe 2004, la sua seconda apparizione dall’impiego fin dal primo minuto di Savona, classe 2003. Che entrambi, poi, abbiano ripagato l’allenatore con una prestazione di spessore, condita addirittura da una rete a testa, è più una conseguenza della premessa che una casualità del fato. Perché Thiago Motta nei suoi giovani crede davvero e altrettanto davvero, ai suoi occhi, figurano quali opzioni per scendere in campo dal fischio d’inizio o a gara in corso.

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Juve, Yildiz e i suoi 'fratelli'

Gli esempi, in questo senso, non si estinguono certo qui. Lo stesso Savona, per esempio, non è stato utilizzato da titolare solo “una tantum” contro il Verona, ma gli è stata concessa una preziosa continuità con i 90’ collezionati anche di fronte alla Roma prima e al Napoli poi, avversarie di altro e alto rango. E il discorso, come si suol dire, arriva fino ai giorni nostri. Ovvero alla recente trasferta di Marassi, dove sabato pomeriggio Thiago Motta ha lanciato per la prima volta da titolare anche Rouhi, classe 2004. Confermando di voler puntare sui giovani al di sopra di ogni fisiologico errore e di ogni schizofrenica valutazione: lo svedese, in tutta sincerità, non è stato autore di una prova impeccabile contro il Genoa, eppure il tecnico italo-brasiliano gli ha garantito un importante carico di fiducia e di consapevolezza tenendolo in campo fino a un quarto d’ora dal termine, a risultato ampiamente acquisito.

Facile immaginare, ancora all’alba della stagione, che l’elenco dei giovani sulla via della valorizzazione – tecnica e, perché no, economica – non sia completo. Anghelé ha già vissuto l’emozione dell’esordio, nelle prossime settimane toccherà anche al montenegrino Adzic. Senza scordare che il virtuoso lavoro svolto in Next Gen ha già prodotto giocatori come Fagioli e come Yildiz. Ovvero, quest’ultimo, “semplicemente” il nuovo numero dieci della Juventus, nonché il simbolo del nuovo corso.

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TORINO - Definire la Juventus una squadra dall’anima europea, proprio alla vigilia di una trasferta insidiosa come quella di Lipsia, può risultare un azzardo. Il primo esame in Champions League, di fronte al Psv, è stato superato a pieni voti, ma la strada verso la laurea internazionale appare ancora lunga. E, però, è pur vero che alcuni tratti della creatura che Thiago Motta sta plasmando sembrano avere un respiro che valica i confini nazionali. Il costante proposito di produrre gioco costruendo dal basso, anziché fossilizzarsi sulla distruzione delle trame avversarie, è soltanto uno. Un altro, invece, riguarda la naturalezza con cui il neo tecnico bianconero si affida ai giovani, che siano il frutto del lavoro nel vivaio o nell’area scouting poco cambia.

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L’impiego in prima squadra di ragazzi nati ampiamente dopo il giro di boa del Duemila, in realtà, abbraccia solo una minima parte del ragionamento. Perché un conto è concedere una gratificante presenza “tra i grandi” nei minuti di recupero di una partita in cassaforte e un altro è ritenere a tutti gli effetti elementi dell’organico i suddetti giovincelli. Thiago Motta, in questo primo mese e mezzo di stagione, ha mostrato pregi e difetti, ma di certo non può essere additato come un tecnico che non creda nei talenti in erba. Il suo esordio sulla panchina bianconera è stato accompagnato dalla titolarità di Mbangula, classe 2004, la sua seconda apparizione dall’impiego fin dal primo minuto di Savona, classe 2003. Che entrambi, poi, abbiano ripagato l’allenatore con una prestazione di spessore, condita addirittura da una rete a testa, è più una conseguenza della premessa che una casualità del fato. Perché Thiago Motta nei suoi giovani crede davvero e altrettanto davvero, ai suoi occhi, figurano quali opzioni per scendere in campo dal fischio d’inizio o a gara in corso.

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