TORINO - Le lacrime di Gonzalo Higuain alla fine dell'ultima partita della sua carriera chiosano in modo commovente il percorso del Pipita, un fenomeno di tecnica e fragilità. È stato uno dei più grandi attaccanti dell'ultimo ventennio, aveva le potenzialità per essere il più grande. La tecnica di un numero dieci racchiusa nel fisico di un centravanti di sfondamento, con i suoi piedi poteva dipingere delicati assist o sfondare le mani del portiere avversario, la sua visione di gioco gli consentiva di infilare corridoi introvabili per gli altri o entrare in area come un blindato: aveva tutto quello che di solito si trova in due o tre attaccanti. Il perché non sia diventato il più grande, ma solo uno dei grandi della sua epoca è da cercare nelle traballanti fondamenta psicologiche dell'uomo che non sono riuscite a reggere adeguatamente il peso del campione.
Classe e fragilità
Higuain è sempre stato fragile. Al Real Madrid soffriva la concorrenza di Cristiano Ronaldo, nella sua travolgente fase di ascesa, e poi di Karim Benzema, che invece con CR7 ha saputo trovare una quadra e senza CR7 ha spiccato il volo per la gloria consacrata dal Pallone d'Oro. A Napoli il Pipita ha trovato una dimensione meno stressante, ma poco gratificante per la sua dimensione calcistica, così ha colto al volto l'occasione di tornare nel giro delle grandi d'Europa con la Juventus. E in bianconero ha brillato e sofferto in egual misura, ha mostrato il suo immenso talento e il suo lato debole.