È un gran casino. Perché ogni arbitro fa a modo suo e ogni allenatore o dirigente interpreta a modo suo, ma il vero caos è garantito dal pensiero che il Var sia la soluzione di ogni problema e come tale venga invocato da tutti, nell’illusione che sia uno strumento oggettivo. E non lo è, non lo sarà mai, perché il regolamento del calcio non è quello del tennis, dove la palla può essere fuori o dentro, ma è pieno di quelle sfumature e di pieghe nelle quali inciampa in continuazione l’uniformità di giudizio, il miraggio che tutti inseguiamo. Perché il problema è capirsi: se un certo tipo di contatto è rigore, deve esserlo sempre, per esempio, e via così con ammonizioni, espulsioni, falli. Purtroppo non è così. E lo stesso utilizzo del Var non è uniforme, perché si va da arbitri che praticamente fanno arbitrare i colleghi davanti alla tv, fino a quelli (sempre più rari) che fanno tutto di testa loro. Inoltre, per la sfortuna di Gianluca Rocchi (che è una persona seria e fa quello che può) la qualità media si è parecchio abbassata.
Quanti errori tra arbitri e Var!
E così nell’ultima giornata c’è una sfilza di questioni che avvelenano il clima. L’espulsione esagerata di Reijnders, il gol annullato per due centimetri all’Udinese, le proteste della Lazio per il presunto “pugno” di Douglas Luiz, il “rigorino” del Napoli, la mancata espulsione di Cristante e la punizione invertita (e poi diventata gol) per il Cagliari contro il Torino che rappresenta l’unico errore oggettivo. Sul resto si discute. Spesso, però, a sproposito, perché non bastassero gli arbitri modesti, ci sono i dirigenti che la buttano in cacciare.