Baresi, "Kaiser" italiano
Nel 1960 nasceva in Argentina il più grande calciatore della storia, Maradona, ma solo nell’estate ’82, a 21 anni e 9 mesi, approdò in Europa per giocare nel Barcellona mentre il paulista Antônio Careca varcò l’Atlantico a quasi 27 anni lasciando il Brasile per firmare con il Napoli. Nessuno dei due avrebbe potuto vincere il Golden Boy: non erano più Under 21 né erano ancora tesserati per un club europeo. Fra i nati nel 1960 eleggibili al Golden Boy quello col miglior “pedigree” sarebbe stato Franco Baresi, all’anagrafe Franchino, divenuto una bandiera nel Milan, club dove ha militato per vent’anni (prodotto del vivaio) e di cui è stato capitano per tre lustri. Tuttora vicepresidente onorario nonché “Brand Ambassador” rossonero. Nativo di Travagliato, una quindicina di chilometri da Brescia, ha esordito in Serie A il 23 aprile 1978, a 17 anni e 350 giorni, in Verona-Milan 1-2. In quella stagione anche 2 presenze in Coppa Italia. Il “Barone” svedese Liedholm lo schierò per il debutto al posto dello squalificato Maurizio “Ramón” Turone e il “bocia” non lo fece rimpiangere: fornì una prestazione più che positiva sfiorando pure il gol. All’inizio lo chiamavano “Piscinìn”, piccolino, ma in breve, per il magistero e la classe nell’interpretazione del ruolo di libero, Franco venne soprannominato “Kaiser Franz”, come Beckenbauer. Secondo nel Pallone d’Oro ’89 dietro al compagno Van Basten e davanti all’altro collega milanista Rijkaard. Oro mondiale con l’Italia nell’82 (era riserva, non entrò mai in campo), terzo nel ’90 e argento amaro nella finale “iridata” 1994 in Usa.
Matthäus, il "Panzer"
Un centrocampista universale, “box to box”, che eccelleva in qualsiasi posizione e sapeva disimpegnarsi alla grande pure in difesa. Regista e mediano al tempo stesso, dotato di un bagaglio tecnico vastissimo. Nerbo, tempra, carisma debordante, forza da vendere, preciso nei lanci, irriducibile nei contrasti, tiro terrificante. Lothar Herbert Matthaus, classe 1961, era un trascinatore. Il prototipo del “Panzer”, così com’era stato soprannominato dai “media”. E poi anche “Terminator”: spietato, inesorabile e “mascellato” proprio come l’attore austriaco Arnold Schwarzenegger. Capitano e indiscusso leader della Germania campione del mondo a Roma ’90 contro l’Argentina dell’amico-rivale Maradona. E a fine anno conquistò con merito il Pallone d’Oro “bissato” dal Fifa World Player nel ’91. È il recordman di presenze (150) in Nazionale con cui ha partecipato a 5 Mondiali. Debuttò 18enne in Bundesliga con la maglia del Borussia Mönchengladbach perdendo 4-2 a Kaiserslautern il 22 settembre ’79. Poi al Bayern per vincere 3 campionati tedeschi, una Coppa e una Supercoppa in Germania. Trasferitosi all’Inter, centrò uno storico scudetto, una Coppa Uefa e una Supercoppa di Lega. Tornò quindi al Bayern per mettere in bacheca ancora altri 4 campionati, una Coppa tedesca, 3 Coppe di Lega tedesca e una Coppa Uefa.
Gullit, "Tulipano Nero"
Ruud Gullit, nato Rudi Dil, era soprannominato “Il Tulipano Nero”, come il titolo del romanzo di Alexandre Dumas e il film con Alain Delon. Fisicità straripante (191 centimetri, 88 chili) uno dei più grandi “tuttocampisti” a cavallo fra gli Anni ’80 e ’90. Classe 1962, era un po’ il Cassius Clay dei calciatori: danzava in campo, saltellava anche se la palla ce l’aveva il portiere avversario oppure era finita in fallo laterale. Un moto perpetuo. Pallone d’Oro nell’87 quando il Milan l’aveva prelevato in estate dal Psv con cui aveva vinto gli ultimi due titoli olandesi. Debutto precocissimo in Eredivisie a 16 anni, 11 mesi e 18 giorni in Haarlem-MVV Maastricht 2-2 il 19 agosto ’79. Campione d’Europa ’88 con l’Olanda in Germania Ovest. Due Coppe dei Campioni, due Intercontinentali, due Supercoppe Uefa e tre scudetti in rossonero. E ancora una Coppa Italia con la Samp e una FA col Chelsea.