Sembra ironia, ma non lo è: il segreto della Svizzera agli Europei

Il rituale dei giocatori elvetici dopo ogni partita: la realtà della Nazionale che ha sovrastato l’Italia

Quando comincia la ola, in uno stadio in cui si gioca una partita da dentro o fuori, vuol dire che è tutto finito. Vuol dire che la naturale tensione di un’occasione del genere è svanita e che sul risultato non ci sono più dubbi, se ci si può permettere uno svago così, per il quale devi addirittura distogliere per un attimo lo sguardo rispetto al campo. La ola partita al 63’ di Svizzera-Italia di sabato, dunque, è stata come un verdetto: mancava ancora una mezz’oretta alla fine ma il risultato era segnato, troppo sicura di sé la Nazionale rossocrociata e troppo frammentaria l’impostazione da parte degli azzurri per sperare davvero che qualcosa cambiasse, al di là di eventi casuali sempre possibili (il quasi autogol di Schar, il palo di Scamacca). La percezione che la squadra di Murat Yakin avesse fatto il più e stesse gestendo con sicurezza è l’eredità più significativa dell’ottavo di finale, assieme all’invito di Yakin alla calma, a non festeggiare troppo. «Vogliamo continuare a giocare a calcio, a pensare, a respirare. Siamo un gruppo affiatato che ha un unico obiettivo: godersi il calcio e giocarlo nel miglior modo possibile».

La paura, supportata anche da alcuni commenti entusiastici di media locali, è che si passi da una sorta di pudica riservatezza ad un ottimismo esagerato, tanto c’è stato anche chi ha sottolineato come battere un’Italia così non significhi molto. Eppure le tesi a favore sono tante: dalla fluidità con cui gli svizzeri si sono mossi sabato al fatto che i sette gol di questi Europei sono stati segnati da altrettanti giocatori, il che fa della Svizzera una Commissione per le Pari Opportunità trasferita sul campo e che le scelte di Yakin, sotto esame per buona parte del girone di qualificazione, hanno preso il verso giusto: sabato per la prima volta l’esterno destro di difesa non è stato Widmer, difensore di ruolo ma squalificato, bensì Ndoye, che lì in passato ha giocato ma è prevalentemente un incursore da metà campo in su, e non per nulla nel gironcino era stato uno dei due supporti alla punta centrale.

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Il segreto della Svizzera

«Chi gioca lì non deve essere necessariamente un terzino allenato in questo ruolo, basta un giocatore in forma. Ndoye ha chiuso il centrocampo e El Shaarawy ha visto a malapena una palla. Ma abbiamo diversi giocatori che possono ricoprire il ruolo di terzino destro» ha aggiunto il ct, che nella parte cruciale delle qualificazioni aveva adottato una difesa a quattro parsa definitiva ma ora cassata. A costringere in parte Yakin alla variazione è stato l’infortunio che da metà aprile ha reso indisponibile Djibril Sow, che dai Mondiali in poi era stato, anche se non con continuità, il terzo mediano di un 4-3-3 che in molte occasioni si era rivelato il modulo più affidabile e sicuro. Tenere invece due giocatori di scatto e movimento a supporto di una punta centrale, o nel caso della partita contro la Scozia più con una impostazione 1-2 e in quel caso era Shaqiri a galleggiare avanti e indietro, ha permesso a Yakin di gestire meglio il pallone allargando il numero di giocatori coinvolti nella costruzione: il gol di Freuler all’Italia è arrivato dopo un giro di ben 31 passaggi, record di questi Europei e segnale, oltre che della perforabilità azzurra, anche dell’eccellenza dei movimenti svizzeri con e senza palla.

E quando le cose vanno bene anche gli aneddoti, neutrali, diventano vincenti: è venuto fuori infatti che ai giocatori della ‘Nati’ (abbreviativo di nationalmannschaft, nazionale) viene servita pizza dopo ogni partita per un più rapido recupero, e pizza è stata anche sabato, prima che si tornasse seri, si cercasse di eliminare quei «rumori di sottofondo» citati da Yakin, che in passato avevano inquinato la serenità. Dopo il ritorno a Stoccarda e la giornata di riposo, prevista per oggi, inizia lo sprint per proseguire questa avventura (nei quarti c’è l’Inghilterra) in quello che scherzosamente gli svizzeri chiamano ‘il grande Cantone a nord’.

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Quando comincia la ola, in uno stadio in cui si gioca una partita da dentro o fuori, vuol dire che è tutto finito. Vuol dire che la naturale tensione di un’occasione del genere è svanita e che sul risultato non ci sono più dubbi, se ci si può permettere uno svago così, per il quale devi addirittura distogliere per un attimo lo sguardo rispetto al campo. La ola partita al 63’ di Svizzera-Italia di sabato, dunque, è stata come un verdetto: mancava ancora una mezz’oretta alla fine ma il risultato era segnato, troppo sicura di sé la Nazionale rossocrociata e troppo frammentaria l’impostazione da parte degli azzurri per sperare davvero che qualcosa cambiasse, al di là di eventi casuali sempre possibili (il quasi autogol di Schar, il palo di Scamacca). La percezione che la squadra di Murat Yakin avesse fatto il più e stesse gestendo con sicurezza è l’eredità più significativa dell’ottavo di finale, assieme all’invito di Yakin alla calma, a non festeggiare troppo. «Vogliamo continuare a giocare a calcio, a pensare, a respirare. Siamo un gruppo affiatato che ha un unico obiettivo: godersi il calcio e giocarlo nel miglior modo possibile».

La paura, supportata anche da alcuni commenti entusiastici di media locali, è che si passi da una sorta di pudica riservatezza ad un ottimismo esagerato, tanto c’è stato anche chi ha sottolineato come battere un’Italia così non significhi molto. Eppure le tesi a favore sono tante: dalla fluidità con cui gli svizzeri si sono mossi sabato al fatto che i sette gol di questi Europei sono stati segnati da altrettanti giocatori, il che fa della Svizzera una Commissione per le Pari Opportunità trasferita sul campo e che le scelte di Yakin, sotto esame per buona parte del girone di qualificazione, hanno preso il verso giusto: sabato per la prima volta l’esterno destro di difesa non è stato Widmer, difensore di ruolo ma squalificato, bensì Ndoye, che lì in passato ha giocato ma è prevalentemente un incursore da metà campo in su, e non per nulla nel gironcino era stato uno dei due supporti alla punta centrale.

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