Italia, la riforma dei campionati
Ci sono venti squadre in Serie A, 20 in Serie B, 60 in Serie C. Cento club professionistici sono troppi (non ce li ha nessuno in Europa), l’industria del calcio non produce abbastanza risorse per tenere in vita cento società, che oltretutto hanno dimensioni clamorosamente diverse fra di loro. Cercare una distribuzione equa delle risorse porta solo a spalmare un velo sempre più sottile, scontentando tutti. Una riduzione dei club a tutti i livelli del professionismo aumenterebbe la salute economica del sistema. Certo chi è dentro, in questo momento, non ne vuole uscire e quindi è una delle riforme più difficili da attuare, anche se sarebbe la prima e indispensabile per creare una piramide più efficiente e disperdere meno denaro.
Centri tecnici federali, serve migliorare
I centri tecnici federali sono un progetto che evidentemente non sta dando frutti, se non ci sono più giocatori italiani di talento da portare in nazionale. Operare a livello locale sui giovani, non lasciando il compito solo alle società sarebbe un punto di partenza per creare la nazionale del futuro. Ma qualcosa non sta funzionando. Nel volley, quando gli stranieri avevano preso il sopravvento, la Fderazione ha creato il club Italia, una squadra che è iscritta in Serie B e si occupa di fare giocare i crescere gli italiani. È un’idea che ha funzionato, ma nessuno nel calcio sembra volerla prendere in considerazione.
Le seconde squadre
C’è un buco nero che inghiotte i nostri talenti fra i 17 e i 22 anni. Questo perché usciti dalla Primavera, solo pochi sono in grado di effettuare il salto in Serie A, così vengono dispersi in prestiti che ne rallentano o ne bloccano la crescita. Le seconde squadre sono il meccanismo in cui, in tutta Europa, hanno ovviato il problema del passaggio intermedio tra le giovanili e il calcio di élite. Venti su ventisei convocati dalla Spagna sono passati dalle seconde squadre.