Italia-Svizzera, a monte ingaggi non c'è gara. Ma Berlino è in pianura...

Tra le due squadre il paragone calcistico e sportivo ci sorride su tutta la linea, a cominciare dai valori di mercato. Eppure sarà partita eccome

Andiamo a Berlino. A giocare una partita che, se dipendesse dal monte ingaggi, tra Italia e Svizzera non ci sarebbe gara: si vince tanto a poco per noi. Valore di mercato dei 26 in rosa, secondo i dati di Transfermarkt: Svizzera 281 milioni, Italia 705. Tradizione e precedenti: 29 vittorie italiane, 24 pareggi, 8 successi elvetici. Dna e luoghi comuni simili: noi abbiamo vinto quattro Mondiali e due Europei, loro sanno sciare e pattinare sul ghiaccio. Olimpiadi (visto che siamo vicini a Parigi24): azzurri medaglia d’oro nel 1936 e due volte bronzo nel 1928 e 2004, rossocrociati appena un argento nel 1924. Allenatore: top Luciano Spalletti che prima della Nazionale ha vinto lo scudetto a Napoli, flop Murat Yakin che è stato ingaggiato dallo Sciaffusa Serie B elvetica. Ranking Fifa: Italia 10ª, Svizzera 19ª. Lancio dei giovani: noi età media 26 anni e mezzo, loro 27 e sette mesi. Proposta di gioco, partenza dal basso, pressing alto.

Italia, il paragone con la Svizzera

Atteggiamento, mentalità. I cosiddetti “giochisti” contro gli altrettanto cosiddetti “risultatisti” (mai dibattito fu più surreale e ingannevole, in verità). Esperienza internazionale. Settori giovanili. Match Analysis. Serve altro? Chicca per intenditori: noi il centro tecnico di Coverciano e loro quasi nulla in mezzo ai boschi. Storia? Risposta affidata a una battuta: “Nel calcio non c’è storia tra Italia e Svizzera”. Eppure... Eppure non leggerete né vedrete nulla di tutto ciò sulla sfida di domani. Perché noi siamo fatti così: durante la stagione le raccontiamo come ci pare e piace, quando ci pare e piace. Poi quando c’è da parlare o scrivere di calcio e calciatori, non sappiamo più cosa fare. Prendete il monte ingaggi, per esempio. Per anni è stato spacciato quasi come inconfutabile unità di misura sul valore di ogni squadra. Ma scusate l’obiezione: se vale per il campionato perché non viene utilizzato per un torneo? Risposta semplice, a patto di non abusare della narrazione modaiola degli ultimi tempi. I calciatori rendono più o meno a prescindere da quanto percepiscono in busta paga.

Gioco e risultato, nessuna rivalità

Altrimenti i “ggiovani” sarebbero scarsi e i vecchi all’ultimo contratto tutti fenomeni. Roba da intelligenza artificiale, con tutto il rispetto per l’intelligenza e basta. Non vanno in campo neppure i cartellini, appesi alle trattative di calciomercato. Né i precedenti, che appartengono al passato più o meno remoto e non alla cronaca futuribile. Oppure coppe e medaglie già posizionate in bacheca. E anche il ranking Fifa è ben diverso - per esempio - dalla recente classifica che ci inorgoglisce grazie a Sinner, il nostro Principe Azzurro che perde una volta su dieci contro un classificato inferiore. Nel calcio lo spread si assottiglia. E lo stesso valeva quando il numero uno del tennis era Roger Federer, bandiera iconica che più svizzera non si può. Torniamo al calcio, che è meglio. Già, ma di che calcio parliamo? Se è quello degli slogan, si rischia di perdere tempo. La proposta di gioco è una chiacchiera. La partenza dal basso, se sterile e insistita, un’esercitazione per far bella figura all’esame di Coverciano. Il pressing alto una meravigliosa utopia, almeno se immaginato con continuità nei novanta, o magari centoventi minuti. Su atteggiamento e mentalità vedi sopra.

E parliamoci chiaro: la contrapposizione tra giochisti e risultatisti va salvata con nome “fake news” oppure, ironia da tormentone estivo, come sesso e samba. Evitando (meglio) il riferimento al brano musicale di Tony Effe & Gaia, non c’è rivalità tra gioco è risultato. Anzi, sembra la guerra dell’ovvio, al di là degli schieramenti estremizzati senza piena consapevolezza degli interpreti dialettici.

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L'Italia, Spalletti e Zaccagni

Andando per esclusione, dunque, quel che resta nella previsione della sfida tra Italia e Svizzera riguarda solo calcio giocato e calciatori giocanti. Ripetizione voluta. Sottolineatura necessaria come un evidenziatore su un testo che altrimenti sarebbe scritto sulla sabbia, via alla prima ondata sul bagnasciuga. Sul cammino europeo, Spalletti ha imbarcato bagagli di ogni tipo. Affascinanti quando ha convocato i grandi numeri 10 a Coverciano. Superlui quando ha raccomandato di non giocare alla Playstation e addormentarsi presto. Esagerati quando alla vigilia dell’Albania ha paragonato i giocatori a eroi e giganti. Discutibili quando ha motivato con la mancanza di brillantezza quella batosta con la Spagna che è sembrata soprattutto tecnica e tattica. E ultimo (speriamo anche penultimo, terzultimo…) bagaglio di spiegazioni, la caccia alla talpa che ha contaminato la splendida prodezza di Zaccagni per il gol qualificazione. Sì, perché senza il fantastico e mozzafiato tiro a giro del laziale, ieri tutti i bagagli di Spalletti e della carovana azzurra sarebbero stati imbarcati sul primo aereo con destinazione casa. Invece andiamo a Berlino. A giocare con prudenza, espressione che non deve essere un’offesa per nessuno, neppure per chi autografa il proprio calcio come “dominante”.

Svizzera, il trio di Motta e...

La prudenza è obbligatoria. Anzi, consigliata, perché la Svizzera ha buoni calciatori. Un campione che si chiama Xhaka. Un paio ottimi e conosciuti, cioè Sommer e Akanji. Altri mestieranti tipo Embolo. E poi c’è quel trio del Bologna, in ordine alfabetico Aebischer, Freuler e Ndoye, che dimostra sì l’ottimo lavoro di Thiago Motta ma pure, con tutto il rispetto per il neo allenatore della Juventus, l’intuito di chi li ha scelti: il direttore sportivo Sartori. Nel complesso, perdonate la puntina maliziosa, una squadra che ha avvalorato sul campo le scelte del proprio ct. E non come l’Italia che si interroga su Zaccagni titolare, in dubbio nonostante il merito acquisito con l’arcobaleno che ci consente di vedere ancora un po’ di azzurro all’orizzonte. Andiamo a Berlino. A giocare e possibilmente vincere. Anche sen za dominare: che male c’è?

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Andiamo a Berlino. A giocare una partita che, se dipendesse dal monte ingaggi, tra Italia e Svizzera non ci sarebbe gara: si vince tanto a poco per noi. Valore di mercato dei 26 in rosa, secondo i dati di Transfermarkt: Svizzera 281 milioni, Italia 705. Tradizione e precedenti: 29 vittorie italiane, 24 pareggi, 8 successi elvetici. Dna e luoghi comuni simili: noi abbiamo vinto quattro Mondiali e due Europei, loro sanno sciare e pattinare sul ghiaccio. Olimpiadi (visto che siamo vicini a Parigi24): azzurri medaglia d’oro nel 1936 e due volte bronzo nel 1928 e 2004, rossocrociati appena un argento nel 1924. Allenatore: top Luciano Spalletti che prima della Nazionale ha vinto lo scudetto a Napoli, flop Murat Yakin che è stato ingaggiato dallo Sciaffusa Serie B elvetica. Ranking Fifa: Italia 10ª, Svizzera 19ª. Lancio dei giovani: noi età media 26 anni e mezzo, loro 27 e sette mesi. Proposta di gioco, partenza dal basso, pressing alto.

Italia, il paragone con la Svizzera

Atteggiamento, mentalità. I cosiddetti “giochisti” contro gli altrettanto cosiddetti “risultatisti” (mai dibattito fu più surreale e ingannevole, in verità). Esperienza internazionale. Settori giovanili. Match Analysis. Serve altro? Chicca per intenditori: noi il centro tecnico di Coverciano e loro quasi nulla in mezzo ai boschi. Storia? Risposta affidata a una battuta: “Nel calcio non c’è storia tra Italia e Svizzera”. Eppure... Eppure non leggerete né vedrete nulla di tutto ciò sulla sfida di domani. Perché noi siamo fatti così: durante la stagione le raccontiamo come ci pare e piace, quando ci pare e piace. Poi quando c’è da parlare o scrivere di calcio e calciatori, non sappiamo più cosa fare. Prendete il monte ingaggi, per esempio. Per anni è stato spacciato quasi come inconfutabile unità di misura sul valore di ogni squadra. Ma scusate l’obiezione: se vale per il campionato perché non viene utilizzato per un torneo? Risposta semplice, a patto di non abusare della narrazione modaiola degli ultimi tempi. I calciatori rendono più o meno a prescindere da quanto percepiscono in busta paga.

Gioco e risultato, nessuna rivalità

Altrimenti i “ggiovani” sarebbero scarsi e i vecchi all’ultimo contratto tutti fenomeni. Roba da intelligenza artificiale, con tutto il rispetto per l’intelligenza e basta. Non vanno in campo neppure i cartellini, appesi alle trattative di calciomercato. Né i precedenti, che appartengono al passato più o meno remoto e non alla cronaca futuribile. Oppure coppe e medaglie già posizionate in bacheca. E anche il ranking Fifa è ben diverso - per esempio - dalla recente classifica che ci inorgoglisce grazie a Sinner, il nostro Principe Azzurro che perde una volta su dieci contro un classificato inferiore. Nel calcio lo spread si assottiglia. E lo stesso valeva quando il numero uno del tennis era Roger Federer, bandiera iconica che più svizzera non si può. Torniamo al calcio, che è meglio. Già, ma di che calcio parliamo? Se è quello degli slogan, si rischia di perdere tempo. La proposta di gioco è una chiacchiera. La partenza dal basso, se sterile e insistita, un’esercitazione per far bella figura all’esame di Coverciano. Il pressing alto una meravigliosa utopia, almeno se immaginato con continuità nei novanta, o magari centoventi minuti. Su atteggiamento e mentalità vedi sopra.

E parliamoci chiaro: la contrapposizione tra giochisti e risultatisti va salvata con nome “fake news” oppure, ironia da tormentone estivo, come sesso e samba. Evitando (meglio) il riferimento al brano musicale di Tony Effe & Gaia, non c’è rivalità tra gioco è risultato. Anzi, sembra la guerra dell’ovvio, al di là degli schieramenti estremizzati senza piena consapevolezza degli interpreti dialettici.

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