Il problema, semmai, è degli amministratori della Juventus che devono far quadrare i conti e uno fra Vlahovic e Chiesa lo avrebbero anche sacrificato in una stagione senza gli 80/90 milioni della Champions League a lenire i costi. L’operazione Vlahovic-Lukaku nasceva anche e soprattutto per finalità ragionieristiche e, benché benedetto da Allegri, era un affare che avrebbe fatto incassare qualcosa per il cartellino di Vlahovic e permesso di alleggerire il monte ingaggi dal suo oneroso stipendio (quest’anno 20 lordi, nei successivi due 25 e 25). Era un sacrificio che poteva costare dolorosissimi rimpianti tecnici, ma aveva una sua gelida logica amministrativa.
Insomma, la favola di Vlahovic rimasto alla Juventus ha un costo importante per il club, la cui cura dimagrante per il bilancio ha avuto qualche buon risultato, ma non ancora quelli sperati (bisognava cedere di più o meglio). C’è ancora tempo per vendere, ma a settembre i conti potrebbero non essere quelli programmati. A quel punto si renderebbe necessario un qualche intervento. Per esempio della proprietà che, finora, ha sempre escluso in modo piuttosto categorico un aumento di capitale, ma potrebbe prenderlo in considerazione. Ma anche l’ingresso di un nuovo socio con denaro fresco, per inseguire con meno sacrifici tecnici l’obiettivo della sostenibilità.
Sono ipotesi, per ora, ma neanche troppo campate in aria, perché i numeri sono numeri. Intanto, però, Juventus-Bologna di domani fa registrare l’esaurito allo Stadium, un segnale incoraggiante per la Juventus, sia come squadra che come società: rigenerare l’entusiasmo, afflosciatosi negli ultimi due anni, avrebbe un effetto benefico sia per chi gioca che per chi deve fare i conti.