Sebastian Hoeness porta un cognome che in termini di peso ha pochi eguali in Germania quando si parla di calcio: suo zio, Uli, è stato ed è tutt’ora, anche con un ruolo solo ufficialmente più defilato, l’uomo probabilmente più influente nella storia del Bayern Monaco e della Bundesliga, oltre che controverso, con le sue dichiarazioni sempre esplosive e il suo passato giudiziario (è stato in carcere per evasione fiscale tra il 2014 e il 2017). È sempre stato facile affibbiare al nipote l’etichetta di “raccomandato”, soprattutto in quanto figlio di Dieter, anche lui ex calciatore - ovviamente con il Bayern - e in seguito dirigente di Hertha, Stoccarda e Wolfsburg. Le prime due sono state le società in cui Sebastian ha militato da calciatore, di scarso successo: a ventott’anni, nel 2010, ha deciso che la sua strada sarebbe stata in panchina. E dopo la gavetta si è meritato la Bundesliga. E poi la Champions League. Le sfide al Real Madrid, alla Juventus.
Hoeness e l'ombra dello zio Uli
Perché l’ascesa vertiginosa dello Stoccarda, 2° classificato dietro solo all’imprendibile Leverkusen di Xabi Alonso e davanti al Bayern di zio Uli, è frutto soprattutto delle sue idee di gioco e della capacità di far esprimere al meglio i giocatori a sua disposizione, sfruttandone tutto il potenziale che nella maggior parte dei casi era inespresso. E pensare che quando è stato chiamato, all’inizio del mese di aprile 2023, la squadra si trovava all’ultimo posto in classifica. L’ha risollevata ottenendo 13 punti in 8 partite, l’ha portata al terzultimo posto, poi l’ha salvata distruggendo l’Amburgo allo spareggio (3-0 all’andata, 1-3 al ritorno). Sembrava già di per sé una piccola impresa: dalla quasi retrocessione alla Champions League in 12 mesi o poco più.