Pagina 2 | Nitto ATP Finals: quanto contano le palle

A lei non fa caso nessuno, viene sbattuta da una parte all’altra del campo, presa a randellate da energumeni che la sparano a oltre 200 km. all’ora e, maltrattata così, inevitabilmente ha vita breve, dopo 7/9 game è accantonata senza rimorsi. Eppure la pallina ha ha una sua sobria eleganza con quella peluria che la ricopre e il disegno a 8 che non è dettato da scelte estetiche ma dal processo di fabbricazione e quella piccola sfera racchiude storia e tecnologia, quando ha smesso di fare il suo dovere in campo può sempre essere messa in lavatrice per lavare i piumini o per farci giocare il cane. Il “pop” che somiglia a una bottiglia di champagne stappata o il “pof” a mezza voce di un colpo piatto, così ben cantato da Panatta nella “Profezia dell’armadillo” sono il frutto di regole ferree che determinano dimensioni, peso e consistenza della pallina.

Palline, quanti tipi esistono

Ne esistono di molti tipi, anche studiate per avviare i bambini alla pratica del tennis. Quelle che vedremo sfrecciare da una parte all’altra del Pala Alpitour hanno un diametro che può oscillare tra 7 e 7,30 centimetri, peso tra 56 e 59,4 grammi e un rimbalzo tra 135 e 147 cm. quando viene lasciata cadere da un’altezza di 254 centimetri (100 pollici) su una superficie piana di cemento, il rivestimento esterno ha una doppia funzione: garantisce il giusto rimbalzo e amplifica la rotazione impressa dalle corde della racchetta. Il colore giallo venne ratificato dall’ITF nel 1972, la paternità dell’idea è di David Attenborough (il celebre naturalista) che nel 1967, commentando per la BBC2 la prima edizione di Wimbledon trasmessa a colori, disse che bisognava sostituire il bianco con il giallo perché più facilmente visibile in televisione.

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Nitto ATP Finals, le palline Dunlop

Alle Nitto Atp Finals si usano palline Dunlop, il “pelo” è un mix di pregiata lana della Nuova Zelanda e fibre sintetiche, la fabbricazione un processo complesso che ha come base un nucleo di caucciù al quale viene aggiunta una miscela di nero fumo, zolfo e altri additivi da cui si ricavano due semigusci poi saldati e stabilizzati con una pressurizzazione a 2,5 atmosfere. Doveroso un grazie a Charles Goodyear che, nel 1839, lasciò inavvertitamente cadere una miscela di gomma liquida e di zolfo su una stufa bollente e invece di imprecare come avrebbe fatto chiunque (o forse lo fece) osservò con attenzione il risultato dell’incidente: una gomma più dura ed elastica, capace di resistere alle alte temperature e ai solventi, in una parola, la vulcanizzazione.

La conservazione

Il feltro che ricopre la palla si presenta in bobine da 100 metri con un lato predisposto per la vulcanizzazione che permette di effettuare l’incollaggio sulla pallina; la bobina è tagliata con una forma a 8 per ricoprire la superficie in gomma con il minimo scarto ed è questo il motivo del disegno distintivo delle palle da tennis. C’è poi il problema della… conservazione. Le palle da tennis non sono vasetti di yogurt, ma il problema c’è e non è da poco, perché la pressione interna diminuisce nel tempo e uno stock di palline (sono ormai tutte prodotte in Asia, come quasi tutto) può viaggiare per molte decine di migliaia di chilometri prima di rimbalzare su un campo; per mantenere il prodotto integro fino al momento dell’utilizzo, sono utilizzati tubi di alluminio o di plastica anch’essi pressurizzati.

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Wimbledon, tempio della tradizione

I tennisti sono come i pianisti, che utilizzano gli strumenti messi a loro disposizione nelle sale da concerto (eccezion fatta per Vladimir Horowitz, che si faceva seguire in giro per il mondo da mezza tonnellata del suo personale Steinway & Sons), anche due pianoforti della stessa marca presentano differenze che non sono percepibili dai profani, così i tennisti sentono la differenza tra le varie palline (ne esistono di tre tipi a seconda delle superfici su cui si gioca) e i fornitori dei tornei sono diversi e cambiano nel tempo secondo i contratti. Tranne Wimbledon, il tempio della tradizione, che dal 1902 utilizza palline Slazenger. Oggi c’è chi vorrebbe un fornitore unico per i tornei dell’Atp, un po’ come per le gomme in F1 o in MotoGP, ma la resistenza è forte e non è che al pubblico importi un gran che quale pallina viene usata.

Il fronte ambientale

Meglio dirottare gli sforzi sul fronte ambientale, esiste un lato oscuro del tennis e la colpa è proprio delle palline. In un anno ne vengono prodotte circa 400 milioni e quasi altrettante finiscono in discarica, bisogna gettarsi alle spalle la filosofia “usa e getta”, studiare e mettere in pratica soluzioni. Qualcosa, in questo senso, è stato fatto: nel 2015 è nato il consorzio Tennisballrecycling che prima rivitalizza le palline ridando loro la giusta pressione, poi, quando sono troppo spelacchiate, vengono sminuzzate, si recupera la gomma e con 10.000 palline si realizza la pavimentazione per un campo da tennis. Un ulteriore passo è stato compiuto nel 2020 dalla start up olandese Renewball, che ha scoperto il modo per liberare totalmente la gomma dal feltro e dal materiale ricavato produce palline riciclate. Non al 100%, ciò non è possibile perché serve comunque una piccola percentuale di gomma vergine anche per produrre una pallina da materiale riciclato. La tecnologia, però, potrebbe orientarsi in futuro su materiali innovativi, in fin dei conti chi può affermare con certezza che si giocherà sempre con palline di gomma?

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Nitto ATP Finals, le palline Dunlop

Alle Nitto Atp Finals si usano palline Dunlop, il “pelo” è un mix di pregiata lana della Nuova Zelanda e fibre sintetiche, la fabbricazione un processo complesso che ha come base un nucleo di caucciù al quale viene aggiunta una miscela di nero fumo, zolfo e altri additivi da cui si ricavano due semigusci poi saldati e stabilizzati con una pressurizzazione a 2,5 atmosfere. Doveroso un grazie a Charles Goodyear che, nel 1839, lasciò inavvertitamente cadere una miscela di gomma liquida e di zolfo su una stufa bollente e invece di imprecare come avrebbe fatto chiunque (o forse lo fece) osservò con attenzione il risultato dell’incidente: una gomma più dura ed elastica, capace di resistere alle alte temperature e ai solventi, in una parola, la vulcanizzazione.

La conservazione

Il feltro che ricopre la palla si presenta in bobine da 100 metri con un lato predisposto per la vulcanizzazione che permette di effettuare l’incollaggio sulla pallina; la bobina è tagliata con una forma a 8 per ricoprire la superficie in gomma con il minimo scarto ed è questo il motivo del disegno distintivo delle palle da tennis. C’è poi il problema della… conservazione. Le palle da tennis non sono vasetti di yogurt, ma il problema c’è e non è da poco, perché la pressione interna diminuisce nel tempo e uno stock di palline (sono ormai tutte prodotte in Asia, come quasi tutto) può viaggiare per molte decine di migliaia di chilometri prima di rimbalzare su un campo; per mantenere il prodotto integro fino al momento dell’utilizzo, sono utilizzati tubi di alluminio o di plastica anch’essi pressurizzati.

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