Da Sinner e Alcaraz a Musetti, stanno tutti male: il tennis oltre i limiti

Le cause sono note: oltre al calendario incidono velocità degli scambi, attrezzi e condizioni di gioco. Ecco come

La figurina del malato normale era quella che mancava. Al giro del secondo turno degli Internazionali, l’album è quasi completo. Gli spazi vuoti sono rimasti due, quello del malato che attende di sapere se è malato davvero e il malato immaginario, che è come la figurina del Feroce Saladino, pressoché introvabile. Il quadro d’assieme mostra un tennis nella versione più perniciosa per tutti, giocatori, pubblico, organizzatori. C’è il malato che non sa quanto è malato, il malato che ha fatto finta di non esserlo più, il malato vincente, e quello che non ricorda nemmeno da quanto tempo è malato.

Al malato normale, la figurina di giornata, ha prestato il volto Lorenzo Musetti. Normale perché ha beccato l’influenza, cosa che sappiamo fare tutti. Ha trascorso la giornata di ieri chiuso in camera, ostaggio di un virus intestinale. «In campo avevo la sensazione di svenire, mi reggevo a stento in piedi. Perso il primo set ho capito che non aveva senso sfidare la sorte. Lo avessi vinto non so se sarebbe cambiato qualcosa. Credo di no. Stavo troppo male». È stata una delusione sincera anche per il francese Terence Atmane, stessa età di Lorenzo, n. 137 Atp, qualificato. Era convinto di poter compiere l’impresa, contro un avversario tanto più titolato di lui, e ha scoperto che Muse andava a due cilindri.

Alcaraz e Sinner out, Medvedev ci prova

Stanno tutti male. Tra Madrid e Roma il tennis ha preso la piega che un tempo si manifestava solo negli ultimi mesi, quando il logorio della stagione si faceva sentire tutto d’un tratto. Ora bastano 4 mesi di tornei e sono già tutti logori. La lista è sotto gli occhi. Jannik Sinner (anca) si è ritirato a Madrid, ha rinunciato a Roma e tiene in ansia Parigi. Si cura da milanista al Medical Center della Juventus a Torino, e vi faccio venia delle voci che girano, tanto presto le leggerete sui fatidici social, quelli che se c’è qualcosa da non dire (semplicemente perché frutto della fantasia) la dicono per primi. Carlos Alcaraz (braccio destro) ha saltato Montecarlo e Barcellona, non ha saputo dire no a Madrid, e si è fatto male da capo. Anche lui attende di sapere se potrà giocare al Roland Garros. Poi Daniil Medvedev (anca), ha abbandonato Madrid chiedendosi “chissà se ce la farò per gli Internazionali”, ma a Roma è in tabellone, e oggi sarà in campo contro Jack Draper (di suo, missione già abbastanza difficile). Va dicendo che si è trattato di un lieve infortunio, e che in questi giorni ha lavorato duro con gli sparring traendone la sensazione che tutto sia a posto. «Non sono il tipo che rischia di peggiorare le cose. Ci vado piano, mi regolo, ascolto il corpo. Ma non ho più avvertito problemi all’anca, e mi sono tranquillizzato. Non mi sento sotto pressione, e non gioco a Roma solo perché sono il campione in carica. Piuttosto, sto scoprendo che giocare sulla terra rossa mi piace sempre di più. Per uno da cemento, come me, è difficile abituarsi. Anche solo una smorzata obbliga a molti movimenti in più. La terra rossa è stancante, ma se trovi il modo di esserle amica dà grandi soddisfazioni».

Rublev in campo e il forfait di Berrettini

Anche Rublev è a Roma, in campo oggi contro Giron. Le dichiarazioni rilasciate dopo la vittoria a Madrid avevano suscitato non poca impressione. «Per arrivare in fondo al torneo, e vincerlo, ho preso antidolorifici da cavallo. Un virus di non so quale tipo mi ha straziato per giorni, non ho quasi mai dormito». Le cronache romane non hanno aggiunto né sottratto nulla, ma Rublev non è mai sugli altari delle cronache. Neanche quando vince un Masters 1000.
Di Lehecka (schiena) ritirato nella semifinale spagnola si sono perse le tracce. Berrettini forse ha creduto davvero di poterci essere, a Roma, il “suo” torneo per modo di dire, visto che mancava da tre anni e ora saranno quattro. E di sicuro in molti fra i suoi tifosi hanno creduto che ce la potesse fare. Eppure, alcune sue dichiarazioni rilasciate appena giunto al Foro («Sono qui solo perché è il torneo della mia città») avevano un tono più che preoccupato e sembravano nascondere un’altra verità. Venuta fuori martedì scorso, il giorno prima di scendere in campo. «Non sono pronto a giocare in un torneo così. Il virus che mi ha costretto a dare forfait a Madrid non mi ha permesso di allenarmi come avrei voluto». Sarà a Parigi. Forse.

Le condizioni di Nadal e il ritiro di Thiem

Di fronte a un quadro così, anche Nadal - che viene da due anni trascorsi quasi senza giocare - ha il diritto di sentirsi in piena forma.
Le cause di tanto sconquasso sono chiare, e vi rientrano (non fate finta di non saperlo, cari signori dell’Atp) perfino le influenze che attecchiscono felici sui corpi più stressati. Si gioca troppo e male. Spesso in condizioni impossibili. Spesso con palle differenti in ogni torneo. Con racchette che amplificano la violenza dei colpi. Con scambi condotti a velocità spaziali. È un tennis che pare andato oltre le capacità fisiche dei suoi stessi protagonisti. Ed è avvilente sentire sempre l’unica risposta che sanno dare, «Ma non possiamo farci nulla». E intanto Dominic Thiem annuncia il ritiro a soli 30 anni, dopo un ungo tentativo di recupero dagli infortuni. Lo sport di alto livello, è noto, non fa bene. Ma forse ora si esagera.

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