Si è lasciato andare in avanti, come sfinito, appoggiandosi da seduto con le mani alla balaustra della tribuna, mentre tutti gli altri nel box di Jannik Sinner scattavano in piedi come molle. Darren Cahill ha reagito in questo modo, sugli spalti dell’Arthur Ashe Stadium, al momento in cui il n.1 del mondo ha chiuso l’ultimo punto con Taylor Fritz aggiudicandosi gli US Open. Un’immagine che ha fatto il giro del mondo, quella della profonda commozione del coach australiano, subito dopo abbracciato da Simone Vagnozzi, il tecnico marchigiano con cui sta lavorando in totale sinergia. Solo dopo qualche secondo, tra sorrisi e lacrime il 58enne di Adelaide, da tennista arrivato alla 22ª posizione mondiale nel 1989 come miglior ranking e negli Slam giunto in semifinale proprio a New York, si è alzato in piedi, unendosi ai festeggiamenti con la popstar Seal, Anna Kalinskaya e gli altri componenti del box.
Passaggio di consegne
Una gioia condivisa poi quando sugli spalti è salito il campione altoatesino per l’abbraccio collettivo con le persone che gli sono vicine e gli vogliono bene, come non perde occasione di ricordare Jannik. L’azzurro qualche minuto prima aveva ricevuto il trofeo dalle mani di Andre Agassi («un momento davvero speciale», ha ammesso ai media a stelle e strisce), due volte trionfatore a Flushing Meadows, che ha spesso detto di identificarsi con Sinner. Una sorta di passaggio di consegne fra due star della racchetta, legate da un filo rosso. Ovvero Cahill, che ha riportato al n.1 il kid di Las Vegas quando aveva 33 anni e adesso ha guidato l’italiano sul tetto del mondo. Dimostrando la bontà della scelta fatta dall’altoatesino e dal suo entourage quando decise di separarsi da Riccardo Piatti. Per proseguire il suo percorso di crescita Jannik non guardò al nome roboante o al palmares quanto piuttosto all’esperienza e alla qualità delle collaborazioni passate: l’australiano, profondo conoscitore del gioco e attento analista dei margini di progresso dei fuoriclasse che ha per le mani, oltre che con Agassi aveva lavorato con altri ex n.1 come Lleyton Hewitt e Simona Halep, senza dimenticare il periodo al fianco di Andy Murray...
Le parole di Cahill
«Penso sia più una reazione da vecchio, a dire il vero. Un vecchio esausto», la battuta con cui Cahill ai microfoni di Espn ha raccontato le sue sensazioni in quegli attimi così speciali. «Non sono l’allenatore principale di questa squadra, che è Simone, ma sono quello con più esperienza, quindi nelle ultime tre o quattro settimane, o negli ultimi quattro mesi, molto di ciò che è successo all’interno della squadra è ricaduto sulle mie spalle – ha spiegato l’australiano facendo riferimento al delicato periodo per il caso Clostebol – Ho dovuto mantenere il senso delle cose e la sua attenzione su ciò che stavamo cercando di ottenere, assicurarmi di dirgli continuamente che non aveva fatto nulla di sbagliato, in modo che, qualunque cosa accadesse, tenesse la testa alta. Abbiamo fatto semplicemente il nostro tennis in modo professionale durante questo periodo e una volta superato, potremo andare avanti da lì. Ce l’abbiamo fatta e non è stato senza molto stress».
La resilienza di Sinner
Non a caso lo stesso Jannik ha citato come il complimento più bello («da brividi») le parole rivoltegli da Cahill prima della finale, ricordando la fierezza dei suoi genitori. «Questo è il vero allenatore: quando ci tiene. Il tuo giocatore deve sapere che sei coinvolto e che tieni davvero non solo alla prestazione, ma anche a lui come persona. Il mio compito era aiutarlo a maturare e a diventare la persona che tutti vogliono vedere, qualcuno che i giovani possano ammirare. Jannik ha una resilienza innata e ha tutto di cui essere orgoglioso, quindi dovrebbe uscire e godersela, perché lui merita assolutamente di essere lì. Questo è un po’ il mio ruolo. Credo che le emozioni che avete visto emergere riguardassero il fatto che sono stati tre o quattro mesi lunghi, di sicuro». In attesa di festeggiare con hamburger e patatine la prossima impresa del cavallo di razza che ha per le mani.