Il silenzio degli indecenti

Il silenzio degli indecenti© EPA

Dicono che stamane, quale suo ultimo atto prima delle dimissioni, il Consiglio dei ministri emani il decreto legge che sancisca l’autonomia del Coni, gli restituisca uomini, donne e finanziamenti; ripristini finalmente libertà d’azione al Foro Italico, liberandolo dalle ingerenze di una politica ignorante la Carta Olimpica, incompetente e sciattona. Dicono. Dopo un anno e mezzo di silenzio indecente del Palazzo, il Cio e il Coni ci crederanno solo dopo che avranno visto il provvedimento messo nero su bianco. Altrimenti, domani alle 17.30, a Losanna, al numero 9 di Route de Vidy, l’Esecutivo dello sport mondiale stangherà l’Italia, mandandola a Tokyo senza inno, senza bandiere, senza squadre. La mossa in extremis del governo italiano può salvare la spedizione azzurra alle prossime Olimpiadi estive, ma non salva l’Italia da un’invereconda figura di melma quanto a immagine internazionale del Paese che, al pari di Francia, Gran Bretagna e Svizzera ha partecipato a tutte le edizioni delle Olimpiadi; ha conquistato 578 medaglie ai Giochi estivi e 114 medaglie agli invernali; figura al sesto posto nella classifica assoluta degli ori.

Anche ieri, Giovanni Malagò ha parlato forte e chiaro: «Siamo in una situazione drammatica, sportivamente parlando, in quanto, dall’entrata in vigore della legge di bilancio 2018 è mutata la questione riguardante il rapporto tra l’allora Coni Servizi e oggi Sport & Salute col Coni. La carta olimpica vieta a qualsiasi comitato nazionale di operare per il tramite del governo. Il Coni non può essere subordinato ad un società governativa, deve essere libero di autodeterminarsi. Attualmente, invece, la società Sport e Salute è il braccio operativo del governo». Anche ieri ci è toccato registrare gli interventi di alcuni politici di colore diverso, ma di comune, totale insipienza in materia cinque cerchi. Questi decoubertiniani della penultima ora, chiedendo venia al Barone che si rivolta nella tomba quando gli parlano della riforma dello sport tricolore, si sono azzardati ad accostare il caso italiano alla Bielorussia della feroce dittatura di Lukashenko e alla Russia punita per il caso doping. Naturalmente, i suddetti campioni presumibilmente convinti che «Citius, altius, fortius» non sia il motto olimpico, ma una marca di integratori, ignorano l’articolo 27 della Carta Olimpica, il comma 6 e il comma 9. Se, per una volta, una volta sola in questi diciotto mesi li avessero letti, forse ci sarebbe stata risparmiata l’invereconda pantomima. Ma sarebbe stato chiedere troppo.

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