Maserati Quattroporte, la prova dell'ammiraglia 

Al volante dell'unica ammiraglia made in Italy in commercio, un'auto che stupisce ma senza esagerazioni.

MODENA - Maiali, musicisti e motori. In Emilia sembra non ci sia altro. Ma in questi tre campi antitetici c’è una continuità interessante, l’eccellenza. Questa operosa e sanguigna terra da tempo immemore genera profumati prosciutti (e molto altro) dai rosei suini, rocker di fama come Vasco e il Liga e capolavori di ingegneria da pezzi di metallo inerte. Quest’ultima abilità è quella che ha regalato i maggiori successi: Ferrari , Lamborghini e Maserati bastino per tutti. Siamo andati a Modena, “provincia meccanica” per eccellenza, a provare l’unica ammiraglia italiana in commercio, in grado di competere con le regine tedesche Audi A8 e S7, BMW Serie 7 e Mercedes Classe S. Ecco la Maserati Quattroporte, 526 centimetri di lunghezza, design tanto sensuale quanto sportivo e un sound da istinti primordiali. Possederne una non è per tutti, con un listino che parte da 98 mila euro per la diesel e oltrepassa i 150 mila per la V8, ma nemmeno guidarla. In via Ciro Menotti 322 sono gelosi dei propri gioielli e riuscire a farsene dare uno è una discreta soddisfazione. 

LE TRE PUNTE DEL TRIDENTE - Saliamo a bordo della versione con motore V6 biturbo 3.0 litri da 410 cavalli, ma nonostante la frenesia di accendere il motore ci sono delle considerazioni preliminari da fare. Uno: da fuori non sembra così grande. Cinque metri e 26 sono una lunghezza da transatlantico (quasi due Smart messe assieme) eppure, non li dimostra. Le vere dimensioni si apprezzano seduti al volante: col sedile tutto indietro chi siede alle tue spalle ha una spanna tra le ginocchia e lo schienale. Due: il lusso retrò. L’abitacolo emana fascino senza tempo, vedi i dettagli come l’orologio analogico a centro plancia e i sedili in pelle Poltrona Frau, avvolgendo con essenze pregiate ma senza stordire. Tre (corollario del punto due): lusso sì, ma essenziale e per certi versi spartano. Se Audi A8 L è un tripudio di effetti speciali, al pari della nuova BMW Serie 7 (che si parcheggia da sola) e Mercedes Classe S è un astronave, Quattroporte esibisce dettagli molto semplici (vedi i comandi al volante) che non ti aspetteresti. Si tratta solo di purismo sportivo? Lo sapremo quando uscirà la prossima generazione. E’ evidente che siamo di fronte a un prodotto diverso e chi può spendere oltre 100 mila euro per quest’auto se ne frega della grafica del touchscreen non certo all’ultima moda o di plastica dove ti aspetteresti l’alluminio. Ma in fin dei conti si tratta di dettagli e sarebbe come rifiutare un invito a cena da Jessica Alba perché ha l’alluce sinistro leggermente storto. 
 

Si parte alla volta di Vignola, Zocca e Castelvetro, rispettivamente patria di ciliegie, Vasco Rossi e lambrusco. Nebbia sugli irti colli da vero autunno padano, guazza e terriccio sull’asfalto tutto curve. Nonostante non si percepisca una vibrazione, il V6 freme sotto di noi: ai bassi regimi l’auto è docile, un grande felide pronto al balzo. Il feeling è immediato, grazie a uno sterzo "millesimato" e in grado di garantire un ottimo feedback. Accarezzando l’acceleratore è un’auto semplicissima, guidabile da chiunque. Schiacciando l’acceleratore la storia cambia completamente e i 410 cavalli regalano, abbinati agli scarichi, una sensazione di sportività esaltante. Soprattutto considerando che la Quattroporte con i suoi 1860 kg non è certo pensata per le competizioni anche se uno scatto 0-100 in 5,1 secondi e una velocità massima di 285 km/h sembrerebbero indicare il contrario. Comunque, per chi cerca rabbia e furore c’è sempre il V8 da 530 cavalli: non l’abbiamo provato, ma se tanto ci dà tanto… Il tour del piccolo mondo antico volge al termine ma c’è tempo per salire a bordo della Ghibli equipaggiata con lo stesso motore: alcuni, sbagliando, la chiamano la piccola Quattroporte. Ma numeri di portiere e design a parte sono prodotti diversi per esigenze diverse: se la Quattroporte ruggisce la Ghibli morde e nel misto è un go-kart. Ma tra l’una e l’altra c’è poco da sbagliare.

 

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