Il richiamo del deserto dev’essere qualcosa di simile all’adrenalina che scorre nelle vene dei toreri quando affrontano le corna delle loro vittime predestinate. Un impulso irresistibile. Violento. Altrimenti non c’è spiegazione razionale che possa spingere un quasi sessantenne ad aff rontare a tutta velocità oltre 8.500 chilometri pieni di insidie seguendo indicazioni urlate dal navigatore seduto accanto. Carlos Sainz senior con i tori ha una confi denza abbastanza buona, ma mai quanto ce l’ha con volante, acceleratore e freni a bordo di un veicolo. Solo che nella Plaza de Toros rischi la vita in pochi minuti, circondato da tante persone che possono salvarti. Alla Dakar, per quanto protetto dalla modernissima astronave ibrida/elettrica dell’Audi RS Q e-tron E2, viaggi a 170 km/h, più o meno nel nulla. Lui, il Matador di Madrid (60 anni ad aprile), papà del ferrarista Sainz junior, sorvola sui dettagli e guarda avanti, inseguendo alla 16ª partecipazione il quarto trionfo alla Dakar (dopo quelli del 2010 con Volkswagen, 2018 su Peugeot e 2020 con Mini), da mettere in bacheca insieme ai due Mondiali rally (1990 e 1992).
Che Dakar sarà quella che scatta oggi con il prologo?
«Da quello che ho visto sarà molto dura. Ci sono due giorni e parecchi chilometri di gara in più. Poi hanno complicato la navigazione, ma confi do che sia logica, quindi vinceranno il pilota e il copilota più veloci e meglio preparati. Il fatto che abbiano introdotto i waypoint nascosti non signifi ca che si debba girare da sinistra a destra. Il DNA è ancora intatto e ho molta fi ducia in Castera (il direttore della Dakar; ndr). Sa cosa serve per fare una Dakar di successo, che funzioni e dia a tutti noi delle garanzie. L’anno scorso gli ho detto di prendere un elicottero o un’auto e di mettersi nei nostri panni a cercare il waypoint: non lo avrebbe trovato. Ci danno il roadbook della gara solo al mattino, cosa che ritengo molto positiva, e anche la rimozione del telefono è ottima, ma a volte mettono i waypoint su sentieri poco segnalati ed è impossibile vederli. Passavi e ripassavi per la pista, facevi avanti e indietro e non li vedevi. Spero che torni la Dakar di qualche anno fa».
Che ne pensa del percorso?
«Intanto, quello della prima settimana è totalmente diverso da quello della seconda e rappresenta il 70% del complessivo. Ma la seconda parte non sarà meno difficile. Perché l’Empty Quarter, il deserto saudita, il più grande del mondo, è solo dune: un’incognita per tutti. Ma anche nella prima settimana ci sarà poco da scherzare: tante pietre, strade diffi cili e con l’abolizione delle soste di un quarto d’ora a metà speciale per poter bere o fare altre cose, la selezione, come alle origini, sarà immediata».
A quasi 60 anni, come ci si prepara a livello fisico per una Dakar?
«A questa età, l’importante è rimanere in forma tutto l’anno. Poi, da settembre, inizio una preparazione specifi ca, ogni anno più diffi cile da portare avanti. Ho il mio staff che mi segue da tempo che mi dà parametri già stabiliti, prove di sforzo, bicicletta, ginnastica, sauna. Preferisco soffrire di più ora, prima di partire, perché qui mi posso anche fermare, perché in gara è impossibile. L’età c’è, la carta d’identità non mente, però nelle gare contano i tempi e il risultato fi nale. E fi nché riesco ad essere competitivo e i rifl essi mi accompagnano continuerò a correre. Ho a le stesse motivazioni che avevo trent’anni fa...».
La seconda generazione del progetto ibrido/elettrico di Audi con la RS Q e-tron E2 quante possibilità ha secondo lei di lottare per la vittoria?
«È difficile dirlo ora. Dopo il debutto dello scorso anno ci siamo messi al tavolino con gli ingegneri e abbiamo capito cosa fare per migliorare la vettura. Adesso è molto più leggera, manovrabile. Verificheremo nel deserto se è anche affi dabile. Sicuramente è veloce ma, ad esempio, la prima tappa Marathon il secondo giorno non aiuta noi che abbiamo poca esperienza e chilometraggio. Come, dopo gli sforzi fatti per alleggerirla, non ci ha aiutato il regolamento che ha creato la nostra nuova categoria T1 che deve pesare 2.100 kg, 100 in più della concorrenza per bilanciare le prestazioni. Vedremo di superare anche questo ostacolo. I rivali? Lo sanno tutti: la Toyota di Al Attiyah e la BRX di Loeb».
Due tori, appunto.