Se è vero che i campioni dello sport sono gli eroi contemporanei, Michael Schumacher ne è la quintessenza, per come ha rivoluzionato la Formula 1 fin dall’esordio quand’aveva ventidue anni, per i sette Mondiali vinti - cinque dei quali consecutivi, dal 2000 al 2004 con la Ferrari - e per il terribile incidente sciistico che dal 2013 ci impedisce di sapere qualsiasi informazione su di lui, protetto nel suo mondo silenzioso dal riserbo assoluto della moglie Corinna e dei figli. Già, il silenzio. Si può immaginare qualcosa di più lontano dalla vita di un pilota?
Di Schumacher conserviamo una fotografia chiara, netta, definita dal talento straordinario, unico, e da un carattere che applicando il dizionario dei luoghi comuni definiremmo tedesco, con tutto ciò che l’aggettivo comporta. Questa, almeno, è l’immagine pubblica, perché poi ciascuno di noi ha mille sfaccettature, come ben evidenzia Alfredo Giacobbe in “Michael Schumacher. L’uomo dietro la visiera” (66thand2nd, 256 pagine, 20 euro), biografia polifonica che sazia l’avida curiosità del lettore più appassionato come di chi segue la Formula 1 mantenendo una debita distanza. «Gli piacciono le feste. Quando era ragazzo era il primo ad alzare il volume della musica, a dare una mano intorno a una brace. Nel kartodromo dove era cresciuto, sfidava gli amici e inscenava cerimonie di premiazione. Saltava su una cassetta da frutta che faceva da podio e ascoltava impettito l’inno tedesco che usciva da un altoparlante sfondato. Non doveva far pesare agli altri che a vincere era sempre lui, allora faceva il buffone». Lo scrive nel prologo, Giacobbe, prima di accompagnarci in una narrazione compatta e avvincente che tiene alta l’attenzione anche a chi di Schumi sa già molto.
Tante sono le pagine gloriose, com’è ovvio quando su trecento gran premi disputati ne vinci novantuno e in altri sessantaquattro sali sul podio: solo Lewis Hamilton ha trionfato più volte e con lo stesso numero di titoli mondiali. Ma tanti sono anche gli episodi di cui più facilmente si può essere persa la memoria, soprattutto quelli degli inizi in Formula 1, quando la disavventura di Bertrand Gachot - finito nel carcere di Brixton per avere volutamente tamponato un taxista che rallentava la sua marcia mentre andava a incontrare un potenziale sponsor, figura indispensabile quando si comincia la carriera negli sport motoristici: agli insulti del taxista, aveva risposto accecandolo con uno spray urticante - gli consente di esordire sulla Jordan con prove da urlo e una gara durata poche centinaia di metri per la rottura della frizione, più che sufficienti per far innamorare Flavio Briatore, che pur di metterlo sotto contratto fa infuriare l’intero circus, a cominciare dal campione in carica, Ayrton Senna. Il primo incontro tra il brasiliano e Schumacher - nel ristorante dell’hotel Villa d’Este di Como in occasione del Gran Premio d‘Italia - è da film: «Michael chiede a un cameriere di annunciarlo. Senna si alza per andargli incontro, sembra volerlo invitare al proprio tavolo. A Michael trema la voce quando cerca di dirgli quanto lo ammira, fin da quando lo ha visto per la prima volta alla guida di un kart. Ayton lo interrompe, anziché invitarlo al tavolo lo accompagna fuori dalla sala. La sua visita non è gradita, Senna gli chiede di andar via. C’è qualcosa di Michael che lo infastidisce». La domenica, sul circuito di Monza, Schumacher debutta al volante della Benetton conquistando un clamoroso quinto posto e precedendo addirittura il primo pilota del team, Nelson Piquet. Tutto il resto è leggenda.
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