Ajax, ogni cosa è illuminata

Nel libro di Esposito la nascita e i trionfi della squadra che all'inizio degli anni Settanta vinse tre Coppe dei Campioni consecutive

A Rinus Michels non piaceva che il calcio praticato dall’Ajax fosse definito “totale”, anche se così lo chiamiamo ancora oggi. Preferiva “universale”. Etichette a parte, la sostanza era una sola: tutti dovevano fare tutto. E ci riuscivano benissimo, visto che all’inizio degli anni Settanta vinsero tre Coppe dei Campioni consecutive (battendo in finale, nell’ordine, Panathinaikos, Inter e Juventus) e lasciarono un segno indelebile. Michels in realtà era in panchina solo nella prima partita, perché dopo sei stagioni ad Amsterdam accettò il richiamo del Barcellona e venne sostituito da Stefan Kovacs, il quale scelse con saggezza una linea di assoluta continuità. Lo spirito dell’Ajax nel frattempo era stato trasferito all’Olanda, che Michels accettò di guidare nella fase finale del Mondiale ‘74 in Germania Occidentale. Il mondo scoprì la bellezza abbacinante degli Orange, ma anche la fragilità che li portò a perdere la partita decisiva contro i tedeschi, esattamente come avverrà quattro anni dopo in Argentina contro la Selección.

Con “LeggendAjax, storia e storie di una svolta epocale” (Urbone Publishing, 118 pagine, 14 euro) Alfonso Esposito ci accompagna in un viaggio emozionante e per certi versi irripetibile, nel quale brillano le stelle del “generale” Michels e naturalmente di Johan Cruijff, «padre-padrino-padrone di un calciatore inedito: nella recita in campo e nell’ingordigia fuori, dai contatti ai contratti», come scrive Roberto Beccantini nella illuminante prefazione. Del talento cristallino di Cruijff sappiamo, ma Esposito riesce comunque a tratteggiare un ritratto denso e completo senza scivolare troppo nella retorica. Però le pagine dove più si percepisce l’intenso lavoro di ricerca sono quelle dedicate agli altri giocatori dell’Ajax, i cosiddetti comprimari che poi tanto comprimari non erano. Semplicemente, la loro bravura veniva in qualche modo sminuita dal confronto con Cruijff piuttosto che Johan Neskeens o Johnny Rep. Per dire, della fascia destra era solito impadronirsi Sjaak Swart, a tutt’oggi primo nella classifica delle presenze con 603 partite e terzo in quella dei gol alle spalle di Van Reenen e Cruijff. O vogliamo parlare di Piet Keizer, uno capace di «inventare un assist sfruttando le pessime condizioni del terreno di gioco e calcolare, dunque, di far atterrare il pallone in una pozzanghera perché lì si fermi in attesa del sopraggiungere di Cruijff, che lo avrebbe poi trasformato in un gol»? Il quale Keizer, per altro, era un fuoriclasse anarchico, ma talmente apprezzato dai compagni che lo preferirono a Cruijff nella celebre elezione del capitano. Quasi nessuno rammenta Heinz Stuy, che pure era in porta in tutte e tre le finali di Coppa dei Campioni e che rimase imbattuto addirittura 1082 minuti. “LeggendAjax” è una miniera di storie e di aneddoti tali da rendere più che comprensibile la nostalgia per quella squadra e quei tempi.

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