Il destro di Rocky al ritmo di blues

Pastonesi rende omaggio a Marciano con un libro che scorre sul confine tra pugilato e musica senza mai perdere di intensità e brillantezza di scrittura

La prima classe costa mille lire, la seconda cento, la terza dolore e spavento. E ce n’era tanto, di dolore e spavento, nella terza classe del Canada, il piroscafo francese a vapore sul quale, il 14 marzo 1912, si imbarcarono Quirino Marchegiano, quattro compaesani abruzzesi e altri millesettecentonovantacinque passeggeri: terraioli, contadini, braccianti, muratori, scalpellini, facchini, artigiani, domestici. In una parola, emigranti. Quattordici giorni di viaggio alla ricerca di un’altra possibilità di vita. Da Nuova York, Pierino - perché agli americani suonava meglio di Quirino - si trasferì a Brockton, dove già stava il resto della famiglia: tutti sotto la protezione di Maria Santissima del Sudore, la matrona di Ripa Teatina. Ovunque proteggi. Undici anni dopo, l’1 settembre 1923, giusto un secolo fa, nasceva uno dei sei figli di Quirino/Pierino e di Pasqualina Picciuto. Si chiamava Rocco Francis. Diventerà celebre con il nome di Rocky Marciano.

Il giornalista Marco Pastonesi, ex giocatore di rugby - sport a cui ha dedicato pagine notevoli, così come al ciclismo - ha scelto di rendere omaggio al Bombardiere di Brockton con un libro che scorre sul confine tra il pugilato e la musica senza mai perdere di intensità e brillantezza di scrittura. “Rocky Marciano blues” (66thand2nd, 162 pagine, 17 euro) ha per sottotitolo “Una storia in quindici round e dodici battute” proprio perché all’autore non interessava, come chiarisce nella prefazione, un’opera che fosse un esercizio di scrittura o una «interpretazione del pugilato nel tempo» o una «rappresentazione del tempo nel pugilato». Quello che Pastonesi cercava era una narrazione che «suonasse di clinch e break, così come di blues e boogie, di getti della spugna e lanci di asciugamani, così come di dominanti e sottodominanti, di vestaglie di seta e pantaloncini di rosa, così come di scotch e bourbon». Un libro che, come per magia, potesse soddisfare tutti i sensi del lettore, a cui si chiede di immergersi felicemente nella storia di Marciano - campione del mondo dei pesi massimi dal 1952 al 1956 e il solo nella storia a ritirarsi imbattuto dopo quarantanove vittorie, quarantatré delle quali per ko - e nelle coincidenze che vivono nel mondo parallelo del blues, dove incontriamo B.B. King e John Lee Hooker, Thelonious Monk e Miles Davis, Dizzy Gillespie e Duke Ellington, citato in un verso di Paolo Conte, guarda caso ma ovviamente caso non è, accanto al pugilato: «Ecco Duke Ellington, grande boxeur, tutto ventagli e silenzi» (la canzone, se a qualcuno sfuggisse, è “Lo zio”). Duke Ellington come il soprannome di un boxeur sconosciuto, così come Steve Coleman è sax alto e pure, per omonimia, due pugili, un medio inglese e un piuma americano.

Il mirabile equilibrio di Pastonesi ci tiene vigili e attenti sul confine di cui sopra, su quel filo sospeso che inizia il 17 marzo 1947 - prima, chiaro, ma il 17 marzo 1947 è il giorno in cui Marciano apre la serie dei quarantanove match da professionista, alla Valley Arena di Holyoke, contro Lee Epperson, finito al tappeto al terzo round - e termina il 21 settembre 1955, quando Rocky allo Yankee Stadium di New York City manda ko Archie Moore alla nona ripresa e poi decide che basta così, che il mondo ha visto abbastanza di questo pugile che non aveva gioco di gambe, varietà di colpi, l’arte della difesa, stile, eleganza, classe, talento, fantasia, altezza, allungo e neppure la pelle nera dei più grandi massimi dell’epoca. Aveva un pugno, Rocky Marciano, uno solo, il destro. Un destro che «sapeva di sala macchine, profumava di olio, correva sulle rotaie». E faceva tanto male.

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