Pinochet, Valdés e quella partita fantasma

Scorsetti racconta in maniera appassionata e coinvolgente la partita tra Cile e Unione Sovietica mai disputata per il golpe nel paese sudamericano

Una partita non giocata sembrerebbe materiale per la sterminata fantasia di Eduardo Galeano o Osvaldo Soriano. E invece la follia dell’essere umano, a volte, la può rendere avvenimento storico. Il 21 novembre 1973 si (non) disputò la partita di qualificazione al Mondiale dell’anno seguente tra il Cile e l’Unione Sovietica. Poco più di due mesi prima, l’11 settembre, il colpo di stato del generale Pinochet pose fine al governo di Allende, instaurando una delle più violente dittature di un continente purtroppo avvezzo a certe tragedie. L’Unione Sovietica rifiutò di scendere in campo a Santiago per la gara di ritorno che avrebbe deciso la nazionale qualificata alla fase finale. Per ordini ai quali era evidentemente impossibile ribellarsi, la squadra cilena scese in campo contro un’avversaria fantasma e, in un clima surreale, con una serie di passaggi in avanti realizzò la rete della vittoria: essendo finita 0-0 l’andata, il Cile era qualificato. L’arbitro, un attimo dopo, fischio la fine. A segnare fu Francisco Valdés, centrocampista, che ricevette la palla in area e in una frazione di secondo dovette decidere cosa fare: non ebbe il coraggio di opporsi al destino che altri avevano scritto per lui. Seduti in panchina, attoniti, i giocatori del Santos. Nelle intenzioni del regime, invitare la squadra brasiliana per un’amichevole in quello stadio dove ormai abitualmente si torturava e venivano eseguite le condanne a morte avrebbe offerto al mondo un’immagine molto diversa da quella reale. «Verrà addirittura Pelé», si fece credere. Ma O Rei se ne guardò bene. Gli altri invece non poterono esimersi e dopo la farsa affrontarono il Cile, battendolo 5-0.

Gregorio Scorsetti, come scrive nella nota finale di “La gara di ritorno. Cile, 1973” (66thand2nd, 190 pagine, in uscita a inizio settembre), si pone l’obiettivo di «fare chiarezza su quei mesi e sugli avvenimenti che hanno portato a una partita e al gol iconico quanto fuorviante di Chamaco Valdés, in uno stadio ripulito per la Fifa e le telecamere. Tra approfondimenti e piccole concessioni drammaturgiche, “La gara di ritorno” vuole raccontare una storia troppo spesso sintetizzata sotto la parola golpe, e che merita di essere conosciuta in tutta la sua efferatezza e in tutte le sue ingiustizie». Scorsetti lo fa con un libro appassionato e coinvolgente e con una ricerca di documentazione straordinaria. La scrittura provoca nel lettore una miriade di sensazioni e sentimenti, perché si viene inevitabilmente avvolti come nella tela di un ragno dal clima terribile di quei mesi in Cile. È da brividi la narrazione di quando Valdés viene convocato da Pinochet. «La fiamma di un accendino lambì appena dei baffetti e la punta di un naso, riflettendosi su due piccole lenti scure. La capocchia della sigaretta segnava l’altezza del suo volto, ma avevo la sensazione che quella voce provenisse da tutti gli angoli della stanza. Il generale Pinochet emerse dalla penombra a passi lenti scivolandomi alle spalle». Il dialogo che ne segue sintetizza l’aberrante pensiero del dittatore. Quanto mai attuale, ahinoi.

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