Il romanzo di Puppo, tecnico dimenticato

Matteo Eremo riscopre un protagonista del calcio internazionale degli Anni 50 e 60, tra i primi italiani ad allenare all'estero (nazionale turca, Besiktas, Barcellona)
TORINO - Ci sono vite che sembrano romanzi, e sono molte più di quante pensiamo. Spesso restano lì in attesa che qualcuno le scopra, se ne appassioni e decida di condividerle con anime curiose disposte a meravigliarsi. Con “Il calcio è musica. Vita e romanzo di Sandro Puppo, allenatore dimenticato” (Mattioli 1885, 284 pagine, 19 euro), Matteo Eremo - insegnante, già autore di tre volumi dedicati al mondo delle librerie indipendenti - ha avviato esattamente questo percorso, consegnandoci l’esistenza di un uomo del Novecento, nato a Piacenza ma cresciuto a Shanghai, «a quei tempi la città più cosmopolita del pianeta», perché il padre era primo violino dell’Orchestra Sinfonica Municipale: e in Cina comincia a giocare a calcio, evidenzia doti non indifferenti, tanto che, al ritorno in Italia, viene ingaggiato dal Piacenza e si dimostra talmente bravo da essere convocato nel 1936 per l’Olimpiade di Berlino, l’unica vinta dalla nostra Nazionale. Puppo non scende in campo, ma la medaglia d’oro è comunque anche sua. Stessa storia l’anno dopo, quando passa all’Ambrosiana-Inter e festeggia lo scudetto senza mai essere utilizzato. Nel Venezia, più avanti, giocherà alle spalle del duo Loik-Mazzola, di lì a poco gioielli del Grande Torino.  

Ma è quando decide di sedersi in panchina che Puppo trasforma la propria vita in romanzo. Dopo le prime esperienze tra Thiene, Venezia e Rovereto, riceve una chiamata dal segretario della Federcalcio, Alberto Valentini. «La Federazione turca vorrebbe un tecnico italiano per guidare la Nazionale alle imminenti Olimpiadi di Helsinki e io avrei pensato di proporti: te la senti?». Ha 34 anni, Puppo: ci mette poco a decidere cosa rispondere, anche se questo significa stravolgere - in maniera anche devastante - la quotidianità della moglie Laura e dei figli Dario e Hilda. Non scenderemo nei dettagli, perché vanno scoperti a poco a poco, ma basti sapere che la Turchia con lui riuscirà a qualificarsi al Mondiale del 1954 a spese della Spagna e che a Puppo verrà chiesto di allenare pure il Besiktas, con cui conquisterà due campionati. E, ancora, che le sue squadre successive saranno il Barcellona e, per due stagioni, la Juventus (nella foto sopra, Puppo con Boniperti) in una fase di rinascita e di conseguenza con modeste prospettive (i bianconeri saranno definiti, con felice intuizione, i Puppanti). 

Eremo ha realizzato un lavoro formidabile, sia nella raccolta delle informazioni (alle quali ha molto contribuito Lorenzo, il nipote del protagonista), sia nella capacità di narrazione, scegliendo la prima persona che rende molto coinvolgente la lettura, specie nelle numerose parti esotiche: perché la Cina degli anni Venti e Trenta e la Turchia degli anni Cinquanta e primi Sessanta erano due realtà clamorosamente lontane da quella italiana, assai più dei nostri tempi, nei quali, per altro, rimangono ancora tanti aspetti che ce le rendono misteriose.  

Le soddisfazioni professionali di Puppo sono accompagnate dai profondi tormenti interiori, per il discorso legato alla famiglia di cui si diceva e per altre ragioni. Eremo riesce a mantenere vivi i due aspetti senza che mai ci sia una caduta di attenzione né di stile. «Da noi l’allenatore recita per novanta minuti la parte dello stratega. Si sbraccia, si contorce, inveisce, appellandosi a una mimica ereditata dai grandi personaggi della tragedia greca. Diventa così, per molta gente, il polo d’attrazione, una specie di mago in azione. Io non sono un mago e non ho bacchette magiche, ma sono paziente e metodico». Ma quanto era avanti, Sandro Puppo? 

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