TORINO - La prima chiave per comprendere ”La scomparsa del calcio militante” sta nelle poche righe introduttive: «Questo libro è una drammatizzazione di fatti accaduti. Alcuni nomi sono stati cambiati e alcuni eventi e personaggi sono stati romanzati, modificati e ricostruiti a scopo narrativo». Quello che in gergo si chiama non fiction novel, insomma. La seconda chiave va cercata nei cosiddetti ringraziamenti, che molti trascurano e invece spesso sono preziosissimi. Per esempio, Guy Chiappavento nel citare l’editore Edoardo Caizzi scrive che, come lui, «ha il gusto per i selvaggi e sentimentali», chiaro riferimento alla raccolta di testi nella quale Javier Marías rivela la sua immensa passione per il calcio. E qui, chi vuole, approfondisca. La terza e decisiva chiave è negli esergo dove si svela l’identità dell’io narrante: Maurizio Montesi, uno, per capirci, che di sé scrive: «Non sono una vacca da mercato (...) Forse per me l’unica possibilità di incidere è quella di fare il rompicoglioni. Ad esempio nelle interviste non parlare di calcio in senso consumistico».
“La scomparsa del calcio militante” (Milieu, 144 pagine, 16 euro) rappresenta la nuova prova del talento di Chiappaventi, giornalista che a La7 si occupa di cronaca, quella pesante (mafia, ‘ndranghera, giudiziaria in generale), concedendosi incursioni letterarie nel calcio, testimoniate da “La valigia del centravanti. Nove storie di numeri 9” (2004), “Pistole e palloni: 12 maggio 1974: il primo scudetto della Lazio nel cuore degli anni Settanta” (2004 e ripubblicato nel 2014), “Aveva un volto bianco e tirato. Il caso Re Cecconi” (2016) e “Laziali bastardi” (2021). Ecco, Montesi con la Lazio - evidente filo conduttore delle opere di Chiappaventi - vinse nel 1976 lo scudetto Primavera, avendo per compagni di squadra gente come Bruno Giordano, Andrea Agostinelli, Stefano Di Chiara e Lionello Manfredonia, gente che ha scritto pagine clamorose nella storia del club biancoceleste, qui ribattezzato Alma. Montesi no, Montesi fa parte della sinistra extraparlamentare e quindi è indesiderato nel destrorso spogliatoio laziale nonostante il tecnico Bob Lovati straveda per lui.
Così viene spedito ad Avellino, dove conquista la promozione in Serie A ma rilascia anche una delle rare interviste (saranno tre in tutto!) nella quale attacca i politici locali, democristiani, e insulta gli ultrà che definisce stronzi perché scendono in piazza per un rigore non dato e non si indignano per l’ospedale che cade a pezzi. Via anche da Avellino, chiaramente, per tornare alla Lazio, dove è tra quelli che non vorrebbero giocare il derby nel quale Vincenzo Paparelli viene ferito a un occhio da un razzo lanciato dalla Curva Sud. Lo costringono, e lui si sfoga raccontando a Panorama le storture del calcio e soprattutto svelando poi a Repubblica l’esistenza del calcioscommesse. Gioca fino al 1983 ma ormai è un reietto e di lui si torna a parlare dieci anni dopo per una storiaccia di droga. Riesce a scappare e sparisce. Chiappaventi lo ritrova e ci accompagna in quel viaggio pieno di storie, incontri, scontri, gioie, dolori, che convenzionalmente chiamiamo vita.