Dsyre: intervista ad Andrea Cibelli

Abbiamo intervistato il presidente della nuova realtà esports che punta a diventare un riferimento per l’Italia all’estero.
Dsyre: intervista ad Andrea Cibelli

Tra le principali realtà italiane che sono cresciute nell’ultimo anno nel settore esports ci sono sicuramente i Dsyre, organizzazione che tra esports competitivo e intrattenimento ha acquisito in meno di dodici mesi importanti fette di pubblico e suscitato grande interesse tra gli operatori della scena italiana, e non solo. Partiti dallo stivale, infatti, i Dsyre possono già vantare importanti presenze sullo scacchiere internazionale, a cui puntano per il prossimo futuro. C’è però un aspetto da comprendere meglio: cos’è l’esports per i Dsyre? Lo abbiamo chiesto ad Andrea Cibelli, co-founder e presidente dell’organizzazione.

La visione di Dsyre combacia perfettamente con la mia, quindi so di poter parlare a nome di tutta l’organizzazione. Partiamo dal concetto che noi per noi l’esports è solo uno dei pilastri che caratterizza il nostro brand. Secondo noi infatti gli esports sono un mondo che oramai è contaminato da tantissimi altri settori affini: il gaming in generale è un mondo che permea gli altri e al tempo stesso ne viene influenzato, come per esempio quello della musica e quello dell'urban, dell'arte, del tech, del web tre punto zero.

Un mondo che appare giovane e fatto per i giovani: o no?

Confermo, è soprattutto un'opportunità per i giovani (e anche i meno giovani, ci mancherebbe), per le aziende, per i brand, per coloro che vogliono diventare un coach o anche ricoprire altre figure professionali che non siano esclusivamente i pro-player. Magari figure che provengono da altri settori e che portano con sé competenze sia trasversali che peculiari del mondo lavorativo di provenienza.

Di fatto l’esports è quindi un settore lavorativo.

Sì, ma non solo. L’esports è un'occasione di lavoro ma anche di racconto, non soltanto del racconto di un risultato, ma anche, per esempio, un canale per raccontare storie umane. Per noi è, non mi stancherò di ripeterlo, un'opportunità. Ma soprattutto, come dicevo all'inizio, è un movimento che vive di vita propria in un ecosistema gigante.

Quando sono nati i Dsyre?

Circa una decina di mesi fa abbiamo lanciato il brand, anche se il vero e proprio lavoro di creazione era partito già qualche mese prima. È il frutto delle mie esperienze fatte all’estero tra Stati Uniti ed Europa: osservare come gli altri vedono gli esports ci ha aiutato ad avere una visione differente e più ampia. Inizialmente siamo partiti dal territorio, dall’Italia, raccogliendo intorno a noi player e creator in modo da creare una community e far conoscere il nostro brand, il nostro nome. E non è stato facile perché quando sei una nuova realtà fai fatica a farti dare fiducia. Per questo abbiamo iniziato dall’Italia per poi solo dopo qualche mese puntare sull’internazionalizzazione, a cui noi crediamo vivamente.

Volete diventare un punto di riferimento dell’esports italiano all’estero?

Stiamo già lavorando a questo punto, sì, decisamente. Negli ultimi mesi abbiamo già portato tutti i testi di tutti i social a essere internazionali o bilingue. Per esempio su LinkedIn abbiamo deciso per una questione di opportunità di mantenere il bi-linguismo ma su altri social, come Instagram e Twitter, abbiamo optato per scrivere solo in lingua inglese. Il motivo è che non vogliamo precluderci a priori quella che è la fetta di pubblico più ampia ma anche perché noi vogliamo essere quelli che rappresentano il made in Italy all'estero, anche nel gaming, perché è una cosa che secondo me non è stata fatta. Vogliamo portare l'eccellenza del made in Italy, tramite una linea di abbigliamento, del merchandising, art design. E penso che in qualche modo abbiamo già iniziato a creare un nome e un’aspettativa su di noi: dopo nemmeno un anno fare parte delle nomination per la Best Italian Organization agli Italian Esports Awards ne è una dimostrazione.

L'intervista video completa è disponibile su Esportsmag.it.

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