TORINO - Il numero 37, nella smorfia napoletana, corrisponde al monaco, figura austera per eccellenza. E niente come l'austerità - intesa però soprattutto nella sua accezione più nobile e molto sabauda di "tutta sostanza, zero fronzoli", non già nei chiari di luna finanziari in cui peraltro si dibatte da anni, venendone comunque sempre fuori alla grande - riesce a riassumere la caratteristica portante e forse più amata del Torino Film Festival, giunto appunto alla sua trentasettesima edizione (da venerdì 22 a sabato 30 novembre, con l'anteprima del giovedì con il concerto di celebri colonne sonore al Teatro Regio e l'appendice domenicale del 1° dicembre, quando tutti potranno vedere o rivedere i film premiati o meglio accolti dalla critica e dal pubblico). Qualcuno, nel monaco, potrebbe anche vederci un riferimento alle preghiere che tutti gli appassionati di vero cinema recitano sottovoce - siamo pur sempre a Torino: low profile - sperando che questo piccolo/grandissimo miracolo di qualità culturale possa continuare a proporsi nei secoli dei secoli amen, malgrado i numerosi tentativi di imitazione (che manco la Settimana Enigmistica), se non di usurpazione, e lo stillicidio progressivo di boicottaggi da parte della politica decadente e dell'economia languente.
Tra l'epicentro del Cinema Massimo, sede della cerimonia di apertura (venerdì alle 19.30, con la proiezione di "Jojo Rabbit", spiazzante satira del nazismo del brillante regista neozelandese Taika Waititi, starring Scarlett Johansson, in trionfo alla rassegna di Toronto e in marcia fiduciosa verso gli Oscar), e l'elegante sede del Reposi (che invece ospiterà il gala di chiusura con l'anteprima di "Knives out", thriller con la mitica Jamie Lee Curtis - quella di Halloween, Un pesce di nome Wanda e l'imminente tormentone natalizio di Una poltrona per due, per capirci - diretto dall'americano Rian Johnson che, oltre ad aver diretto Gli ultimi Jedi di Guerre Stellari, fa pure il musicista), è stata apparecchiata un'abbuffata di film no stop in grado di soddisfare qualunque palato, purché non si vada in cerca di cinepanettoni. La lettura anticipata delle sinossi - nel solito (ovviamente austero) catalogo del programma con in copertina l'attrice Barbara Steele, bellezza gotica icona dell'horror di classe, ospite d'onore che presenterà, dall'alto dei suoi leggendari 81 anni, alcuni titoli della retrospettiva dedicata al genere - è più che mai arrapante.
Inutile stare ad anticipare niente: al di là del fatto che la stragrande maggioranza delle pellicole proiettate saranno inedite (in assoluto, come i 15 titoli del concorso; o in Italia, come quasi tutto il resto), la bellezza principale del TFF è proprio quella di farsi ispirare sul momento da una trama, da una faccia, da un titolo, da un amico o un'amica che capita lì proprio in quel momento per improvvisare la scelta del film in decisione congiunta, col fascino dell'avventura in territori sconosciuti, oppure approfittare del conoscente cinefilo che sta sorseggiando un bicerìn al bar dell'angolo e ti dà la dritta giusta, magari davanti al Cinema Classico che in piazza Vittorio ospita le anteprime per gli addetti ai lavori.
Andate sul sito torinofilmfest.org e trovate tutto, oltre che di tutto: in particolare prezzi (contenuti, con la possibilità di vari abbonamenti in base alle fasce orarie più comode per le esigenze di ognuno), istruzioni per l'acquisto, orari, disponibilità di posti, informazioni di servizio utili per evitare giri a vuoto o per non perdersi l'ospitata più intrigante o l'incontro più suggestivo, magari all'ombra della superba Mole Antonelliana sede di quella meraviglia che è il Museo del Cinema. Per esempio, non sarà difficile imbattersi in Carlo Verdone, Guest Director che ha selezionato una rassegna di 5 film a lui particolarmente cari denominata Cinque Grandi Emozioni: lo storico "Ordet" di Carl Theodor Dreyer, il monumentale "Divorzio all'italiana" di Pietro Germi, lo straordinario "Oltre il giardino" di Hal Ashby, il classico "Viale del tramonto" di Billy Wilder, il tenerissimo "Buon compleanno Mr. Grape" di Lasse Hallström con un giovane e formidabile Johnny Depp. Oppure incontrare i capelli molto cinematografici e gli outfit poliedrici di Emanuela Martini, l'inossidabile direttrice, alla quale chiedere di non passare la mano dall'anno prossimo altrimenti chissà in quali potrebbe finire il festival. Il tutto tra notti horror affollate di gioventù e maratone di documentari, tra tematiche sociali al solito di grande impatto (immigrazione, razzismo, disabilità) e le chicche musicali che non mancano mai, tra accostamenti ricchi di fascino che vedono le opere prime, seconde e al massimo terze di registi in cerca di gloria (eredità irrinunciabile dello spirito che in origine animava il Festival Cinema Giovani) abbinate a opere che hanno già fatto incetta di premi e complimenti in altri festival meno austeri. Ma forse non così affascinanti come il TFF. E di sicuro meno vivibili. Tappeti rossi? No, grazie. Piuttosto, thermos e copertine per la notte horror.