Il caso degli aerei G.212
Forse non tutti sanno che...Non è conosciuto con assoluta certezza il numero preciso di quanti aerei G.212 trimotori furono prodotti dagli stabilimenti della Fiat Aviazione tra il 1946 (il primo prototipo volò nel gennaio ’47) e gli Anni 50. Più fonti accreditate tendono a sottolineare un dato: 19 aerei. Velivoli utilizzati sia per il trasporto civile di passeggeri (ma dell’aereo esisteva anche una versione cargo) sia dall’Aeronautica Militare per il trasporto di soldati, per l’addestramento e come scuola di osservazione e fotografi a aerea (G.212 “Aula Volante”). «L’ultimo G.212 in linea fu radiato nel 1959. È esposto presso il Museo storico dell’Aeronautica Militare di Vigna di Valle», spiega il sito ufficiale dell’Aeronautica. È l’unico G.212 ancora esistente. Il G.212 era l’evoluzione del G.12, modello lanciato agli inizi degli Anni 40 (il G.212 presentava una fusoliera più lunga e ampia; rivisto pure il disegno delle ali e della coda). Il prototipo montava motori Alfa Romeo 128, quelli per il trasporto civile (al massimo una trentina di passeggeri) i motori statunitensi Pratt & Whitney R-1830, più potenti. La velocità massima in volo a 2.500 metri di altezza era di 375 chilometri orari (300 la velocità di crociera). Come il G.12, anch’esso era stato firmato dall’ingegner Giuseppe Gabrielli, celebre e affermato progettista di numerosi velivoli civili e militari, entrato in Fiat Aviazione negli Anni 30. La sua carriera è stata ricca di riconoscimenti di prestigio anche internazionali. Il suo capolavoro è considerato il Fiat G.91, un caccia leggero: a fine Anni 50 l’aereo vinse un concorso della Nato e diventò il caccia standard dell’Alleanza atlantica (800 esemplari).
Le inchieste e la ricostruzione dell'incidente
Torniamo a quella ventina di G.212. Una dozzina fu utilizzata per il trasporto civile, anche da compagnie straniere. Almeno 6 dalla compagnia Avio Linee Italiane (Ali: costituita dalla Fiat a metà Anni 20), poi sciolta nel 1952 e confluita nelle Linee Aeree Italiane. Il Fiat G.212 I-Elce era l’aereo su cui volò il Grande Torino nei suoi ultimi viaggi: Milano Barcellona-Lisbona (1° maggio 1949) e Lisbona-Barcellona-Torino (4 maggio). Alle 17,03 il terribile schianto contro il terrapieno dietro alla basilica di Superga (con la semiala sinistra, e successivo schiacciamento della fusoliera contro il muraglione). Nuvole e nebbia, visibilità tendente allo zero, pioggia scrosciante, vento: erano queste le condizioni atmosferiche. Alla velocità (calcolata a posteriori dalle inchieste) di circa 280 chilometri orari, gli occhi dei due piloti devono aver intuito solo all’ultimo la sagoma della basilica. Dai resti dell’aereo e dalla valutazione dell’impatto, emerse che il velivolo stesse cercando di cabrare. Come se il pilota avesse tentato disperatamente di far impennare l’aereo, quando improvvisamente scorse davanti a sé Superga. Troppo tardi. Nessuno si salvò: 31 morti.
Tre inchieste, dopo la tragedia: civile, militare e giudiziaria. L’inchiesta civile venne condotta dal Registro Aeronautico Italiano (Rai) nella persona del capo della direzione territoriale, l’ingegner Gallinaro, che prese in esame e non rilevò la presenza di avarie, malfunzionamenti o problemi strutturali del velivolo. L’inchiesta militare si concluse due settimane dopo la sciagura. Esaminati, naturalmente, anche gli aspetti legati all’assistenza tecnica del volo. Proviamo a riassumere, utilizzando anche fonti giornalistiche dell’epoca. Escluse avarie a motori o strumenti di bordo, esclusi malfunzionamenti e problemi strutturali dell’aereo. Accento posto sulle pessime condizioni meteo, quel terribile temporale su Superga: non da escludere vuoti d’aria improvvisi o l’influenza del vento. Imputabile l’incidente a un possibile errore di valutazione da parte dei piloti. In estrema sintesi: per via delle condizioni quasi proibitive con visibilità all’improvviso pressoché nulla, forse i due piloti (assistiti a bordo da un radiotelegrafista e da un motorista) credevano di essere là dove non erano. Un possibile errore di valutazione della posizione dell’aereo, nell’ultima parte del volo stabilita non più a vista, ma con l’ausilio di indicazioni strumentali. Un possibile errore tragicamente agevolato dalla modesta evoluzione tecnologica dell’epoca, assolutamente imparagonabile con l’attualità: oltre alle comunicazioni radio, quelle via radiogoniometro per il calcolo della posizione potrebbero essere state disturbate (e quindi parzialmente falsate) dalle scariche elettriche del temporale. Fu ipotizzato anche questo, per provare a dare una spiegazione. Oggi, già soltanto con la “scatola nera” e le registrazioni audio e satellitari, la tragedia non avrebbe misteri. Il piccolo aeroporto di Torino non aveva il radar, a differenza di Milano e Roma. Non esisteva ancora l’aeroporto di Caselle. Il Grande Torino sarebbe dovuto atterrare sulla pista dell’Aeritalia, anch’esso della Fiat. L’aereo (che aveva cominciato a puntare su Torino dopo aver sorvolato Savona verso le 16 e 30) alla fine compì una virata sulla sinistra “al buio” e si andò a schiantare. Erano le 17 e 03.
Riavvolgiamo il nastro. Lasciata Savona, alle ore 16,41 l’equipaggio chiese che venisse attivato il radiofaro di Novi Ligure (a nord-est) per controllare la posizione dell’aereo. Alle 16,55 (dunque a poche decine di chilometri dall’aeroporto) l’equipaggio aveva preannunciato alla torre di controllo l’atterraggio entro 15 minuti. Quindi, alle 16.58: «Quota 2.000 metri. Qdm su Pino, poi tagliamo su Superga». Il Qdm: venne cioè richiesta dall’equipaggio la rotta magnetica da seguire durante l’avvicinamento, fornita dalla stazione di radioassistenza di Pino Torinese (colle distante 4,6 chilometri in linea d’aria da Superga, che è il rilievo più alto tra le colline affacciate sulla città: 672 metri). Peraltro, secondo le inchieste, l’equipaggio non informò di procedere in volo strumentale. La tesi: i piloti cercarono probabilmente di volare appena sotto le nubi, per tentare di vedere qualcosa. Ma lo strato delle nuvole andava progressivamente abbassandosi, man mano che l’aereo si avvicinava a Torino.