Nell’Atalanta da tempo era finito ai margini. In granata può tornare a essere un re dell’attacco.
«Vero. E le motivazioni contano parecchio. A maggior ragione se hai già una certa età. Il Toro può rivelarsi la squadra giusta e l’ambiente ideale per lui, affinché trovi nuove motivazioni per un grande finale di carriera. Io, quando fui costretto contro la mia volontà a lasciare il Toro dopo 15 anni, a Udine e poi a Firenze trovai gli stimoli giusti proprio perché continuai a comportarmi bene, come avevo sempre fatto. Davo tutto e naturalmente segnavo anche lontano dal Toro. Ero restato me stesso. Solo così si ottengono rispetto e gratificazioni».
Zapata sta rinascendo, difatti.
«Così pare, sì. Gioca con convinzione, sa quel che deve fare e si vede che condivide il tipo di manovra insegnata al Filadelfia. Se lui crede nei compagni e i compagni credono in lui e tutti credono nell’allenatore e lo ascoltano, si è già a metà dell’opera. Anche perché io la penso esattamente come Nereo Rocco: una partita è fatta di enormi tentativi di fare gol, chi ne fa di più vince e tutto il resto sono monade, come si dice in triestino. Lo ripeteva 60 anni fa e non è cambiato nulla. Se hai un bomber vinci di più, se non ce l’hai vinci di meno. Questo è il succo del calcio. Per dire: battere un angolo e col giro-palla tornare a centrocampo è una monada e basta, perché a centrocampo non hai occhi per fare gol, sei lontano. Buttare bene la palla in mezzo cercando un colpo di testa vincente resta invece la soluzione più efficace da almeno un secolo. E con un gigante come Zapata si può».
Cosa pensa del caso Buongiorno? Nei fatti già venduto all’Atalanta a fine mercato, solo per i soldi. Ma lui ha detto no, ha mandato i piani altrui all’aria.
«Stendo un velo pietoso su quella tavola già apparecchiata. Quanto ad Alessandro: quasi non ci si crede che abbia detto “no, non mi sento di lasciare il mio Toro”, in questo calcio moderno che è innanzi tutto business in cui non esiste più il concetto di famiglia e di fedeltà alla maglia come ai nostri tempi. Buongiorno è un ragazzo vero, intelligente. E lo ha dimostrato. Ha dei valori dentro, è chiaro. E questa è la prova che i valori Toro sono molto importanti: bisognerebbe promuoverli di più. Aveva 6, 7 anni quando cominciò a crescere nel vivaio. Benedetti gli ha trasmesso quei valori granata che Silvano aveva imparato da noi dello scudetto quando era lui un giovane, e ci ascoltava come se fosse a messa. Ha imparato bene, Alessandro. E che crescita grandiosa sul campo, la sua».
Avvertiamo molte pressioni su Juric, anche di matrice societaria. Come se portare il Toro in Europa fosse obbligatorio, quasi facile.
«Juric merita rispetto, è un bravo maestro. I migliori tecnici incidono dal lunedì al sabato, perché è solo in allenamento che puoi insegnare qualcosa. E il Toro da due anni sta crescendo progressivamente. Certo, è ben pagato. Ma lui fa guadagnare il club molto di più, per come valorizza i giocatori. Ha idee chiare e si vedono in partita. Spero che ci siano le condizioni perché rinnovi il contratto, mi auguro che resti, è la vera forza di questo Torino e il gruppo crede in lui, si vede. Smontare il giocattolo e mandare all’aria il suo ciclo sarebbe solo sbagliato, dannoso».