Milan, Berlusconi "regalò" a Sacchi il panettone per regalarsi il mondo

La storia di un autunno caldo e di un rigido inverno: Arrigo sembrava spacciato già a ottobre, ma Silvio...
Milan, Berlusconi "regalò" a Sacchi il panettone per regalarsi il mondo© /Agenzia Aldo Liverani Sas

Già dal principio, la loro storia è stata una questione di panettone. Anche se vi domanderete che cosa c’entri il delizioso dolce milanese con Berlusconi, Sacchi e il Milan. C’entra, c’entra eccome. L’anno è il 1987. Il signore di Fusignano dai grandi Rayban di colore verde scuro e l’impermeabile con la cintura stretta in vita, fulmina Silvio con il suo Parma che sbanca San Siro in Coppa Italia. Silvio ha l’intuizione che cambia tutto, in quel finale di stagione scandito dall’esonero di Liedholm a cinque giornate dalla fine e dall’approdo di Fabio Capello sulla panchina dello svedese, congedato dal presidente in un giorno d’aprile. Scena: Milanello, sala del caminetto, muraglia umana di giornalisti che hanno fiutato l’incipiente siluramento. Il sorriso di Berlusconi è baluginante. Rivolto all’allenatore, sbotta: “Barone, ha visto questi cattivoni davanti a noi? Dicono che, se domani lei perderà, io la licenzierò. Mi dia una mano, dai...”. Liedholm lo guarda sornione, allunga la mano al presidente, saluta e se ne va. Splendida uscita di scena del flemmatico Nils, consapevole del capolinea. Capello porta il Milan allo spareggio Uefa con la Samp, si gioca a Torino, decide Massaro che, dopo il gol, plana su un bosco di braccia tese verso il giocatore che riporta i rossoneri in Europa. Capello compie la missione e lascia il posto a Sacchi.

Milan, inizia l'era Sacchi

E qui comincia il panettone: siamo soltanto a settembre, ma a Milano c’è già chi si domanda se Arrigo lo mangerà a Natale. Primo turno di Coppa Uefa, c’è lo Sporting a Gijon dove, la notte prima della partita, il clima è reso idilliaco dagli ospitali tifosi asturiani che per tutta la notte cantano, tambureggiano, urlano, sparano petardi sotto l’albergo dei rossoneri: risultato 1-0 e primi scricchiolii della panchina di Arrigo che, quattro giorni dopo, perde in casa con la Fiorentina dopo averla dominata per un’ora, ma cade sotto i colpi di Diaz e Roberto Baggio, sublimando il 2-0 con la sua firma d’autore. Si va a Lecce, campo neutro perché l’Uefa a suo tempo aveva stangato il Milan di Farina con una doppia squalifica del campo. Rigore di Virdis, punizione di Gullit, altro rigore di Virdis: 3-0, Sporting eliminato, Sacchi rinfrancato. Però, per poco: all’orizzonte salentino si staglia l’Espanyol e son dolori. Occhio alla data: 21 ottobre 1987, a Natale mancano due mesi e quattro giorni, ma il panettone si allontana e l’esonero sembra si avvicini perché a Lecce il Milan cade rovinosamente: Diavolo loffio, lento, macchinoso, 2-0 per gli spagnoli che al ritorno pareggiano 0-0 e fanno fuori i rossoneri dalla Coppa Uefa. Tifosi sconcertati e subito divisi fra sacchiani e capelliani: i primi chiedono tempo per Arrigo, i secondi invocano il ritorno di Fabio, convinti che il Fusignanese li porterà alla rovina e mai e poi mai mangerà il panettone. Non hanno fatto i conti con Berlusconi, uno che nelle difficoltà si è sempre esaltato. Sacchi ha fortissimamente voluto, Sacchi fortissimamente difende. Piomba a Milanello, il sorriso per i cronisti è di circostanza, ma nello spogliatoio ha la faccia scura. Raduna la squadra davanti ad Arrigo e tuona: «A Lecce abbiamo fatto una brutta figura. Abbiamo giocato male e abbiamo perso giustamente. Ma, ricordatevelo bene, adesso e per il futuro: Sacchi è e rimarrà il nostro allenatore. Chi ci crede, resti; chi non ci crede, se ne vada».

Milan, la rinascita con Rijkaard e Savicevic

Ritorna il campionato, il Milan va in campo a Verona e vince, letteralmente abbarbicato alle trecce di Gullit che fa il diavolo a quattro. Il panettone si riavvicina ad Arrigo che a Natale lo divora. Poi arriverà la seconda grande crisi, a inizio gennaio, perché i rossoneri cadono a Cesena, trafitti da Holmqvist e le cassandre spostano la loro dolciaria attenzione sulla colomba pasquale, eppure Sacchi mangerà anche quella (motteggerà Berlusconi: «A Cesena il Milan ci ha dato dei dolori, ma non ha giocato male. Il problema è che spesso il Milan si imbatte in arbitri di sinistra...») . Il fatto è che Sacchi e Berlusconi più tardi si sarebbero divisi su Borghi, certo, e Silvio ebbe la lungimiranza di dare ragione ad Arrigo prendendogli Rijkaard, ma Sacchi aveva fatto una promessa al presidente, quando questi lo ingaggiò.«Mi disse che saremmo dovuti diventare la squadra più forte del mondo, io gli risposi che mi sembrava riduttivo. Saremmo dovuti diventare la squadra più forte della storia». Berlusconi fu talmente conquistato da quelle parole che sbottò: «Arrigo, o lei è un pazzo o è un genio». Era un genio che incontrava un altro genio, il terzo sarebbe arrivato al tempo di Capello: Dejan Savicevic (parafrasando Flaiano, si potrebbe dire: il meglio che possa capitare a un genio è essere compreso).

Sacchi l'uomo giusto per Berlusconi

Capite perché, né l’eliminazione dall’Europa per mano dell’Espanyol né la sconfitta di Cesena né qualunque altro ostacolo fosse stato disseminato sulla sua strada, avrebbero schiodato Berlusconi dalla convinzione di avere scelto l’uomo giusto, mettendolo al posto giusto per fare grande il Milan. L’uomo che nei rigidi giorni dell’inverno lombardo, sul campo centrale di Milanello, intabarrato nel suo piumino, il cappellino calato sulle orecchie, il megafono alla bocca, urlava ordini tattici a Baresi, Tassotti e Maldini per costruire il bunker davanti a Giovanni Galli, senza dimenticare per quante volte - una, dieci, cento - imponeva a tutti di ripetere le esercitazioni sino allo sfinimento. Sacchi, così stregato da Berlusconi e Berlusconi così stregato da Sacchi che soltanto loro due insieme potevano fare ciò che hanno fatto. In fondo, fra allenatori ci si intende.

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