Pagina 0 | Piqué, confessioni Juve: “Tifoso sfegatato. Vi svelo la sorpresa e la delusione”

Il momento tanto atteso è finalmente arrivato: domani pomeriggio Colombia e Brasile si affronteranno nella finalissima della Kings League World Cup Nations. L’innovativo e folle torneo di calcio a 7 ideato da Gerard Piqué, in cui a prendersi la scena sono streamer ed ex stelle del mondo del calcio, si prepara a invadere l’Allianz Stadium di Torino. Uno show imperdibile, condito dal concerto di apertura di Mahmood e dall’amichevole tra leggende del calibro di Casillas, Aguero, Pirlo e Buffon e content creator. Fra questi anche Luca Campolunghi, presidente delle Zebras, una delle squadre che si daranno battaglia prossimamente nella prima edizione della Kings League italiana: «Sono molto emozionato, avrò la possibilità di sfidare grandi icone della storia del calcio. Farlo poi sul manto dell’Allianz, lo stadio della mia squadra del cuore, non ha prezzo… Cercheremo di giocarcela sul fiato, ma l’obiettivo è uno soltanto: non fare figuracce». 

 

 Se tra i giovani la Kings League ha attecchito all’istante con numeri da capogiro, non si può dire lo stesso per chi ha qualche anno in più. Molti la considerano come ‘un’americanata’, uno show che nulla a che fare con il calcio. Perché secondo lei permane questa vena polemica, o quantomeno una scarsa disponibilità a conoscere questa nuova competizione? 
«Credo che lo scetticismo derivi dal fatto che la Kings League sia strettamente legata al mondo dei content creator e dei social. In Italia molti fanno ancora fatica a tollerare la nostra come una professione vera e propria. Nella mia vita ho lavorato come impiegato al Mcdonalds ed era tutto schematico: ogni giorno le mansioni erano sostanzialmente le stesse. Quando finivo il mio turno e tornavo a casa avevo la possibilità di staccare. Come content creator è diverso: ogni giorno devi farti venire in mente nuove idee, essere innovativo, altrimenti perdi il treno e la gente si dimentica di te in un attimo». 
 
Provi a convincerci allora, cosa rende speciale la Kings League? 
«Per me Piqué è stato un genio: ha capito che la soglia di attenzione delle nuove generazioni nei confronti del calcio è sempre più bassa. In pochi riescono a seguire tutti e 90 i minuti di una partita. Il calcio di oggi è pieno di interruzioni, distrarsi è semplice. Nella Kings League, invece, ogni minuto succede qualcosa che ti tiene incollato allo schermo. Ci sono due tempi da 18 minuti, gol che valgono doppio, shootout (i rigori in movimento), dadi lanciati dal pubblico per determinare quanti giocatori resteranno in campo… Non puoi mai stare tranquillo: le partite possono cambiare completamente da un momento all’altro. Stiamo parlando di uno sport nuovo, mai esistito. Non è né calcio a 7 né calcio a 11, ma calcio spettacolo. Annoiarsi è impossibile. Anche i miei genitori erano scettici all’inizio, poi gli ho chiesto di provare a vedere insieme una partita e si sono dovuti ricredere. Fatelo anche voi: chi ama il calcio non potrà che appassionarsi». 
 
Se è vero che con le nuove generazioni le modalità di fruizione di contenuti stanno cambiando, pensa che alcune regole della Kings League possano arrivare a modificare il calcio stesso? Penso al Var a chiamata, le espulsioni a tempo...» 
«Non credo, sarebbe come introdurre nel tennis una regola del padel… Parliamo di due sport diversi che non credo si influenzeranno mai a vicenda…». 
 
Domani la finalissima all’Allianz. Un bilancio di questa prima edizione ‘italiana’ del mondiale? 
«Mi è piaciuto vedere culture calcistiche così diverse affrontarsi in un campo a 7. Ma soprattutto, vedere giocatori di calcio a 11, calciotto e Futsal tutti nello stesso campo. Il Brasile - per esempio, a differenza di tutte le altre squadre - ha giocato tutte le partite con le scarpe da calcetto. Sono una meraviglia in campo: giocano con la suola, la punta... E poi mi ha stupito il tifo del Marocco. Erano tantissimi in Arena, sembrava di giocare a casa loro, incredibile…».

 

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Il tifo per la Juve e il momento della squadra

E l’Italia? Bonucci, Viviano, Caputo... Ma alla fine siamo usciti subito. Cos’è mancato? 
«I match di Kings League si decidono negli episodi, e noi non siamo stati bravi a farli nostri, specialmente nei primi minuti. Poi di certo potevamo organizzarci un filo meglio: i ragazzi hanno cominciato il ritiro troppo tardi, si sono allenati insieme giusto per qualche giorno. Ci rifaremo nel prossimo mondiale, ne sono sicuro». 
 
A mondiale finito, sarà poi tempo della prima edizione di Kings League Italia, dove figurerà come presidente degli Zebras. Da dove nasce questo nome? 
«In realtà è un segreto, ma lo scoprirete tra poco… Ovviamente, la nascita del logo è legata in parte alla mia fede bianconera: sono uno juventino sfegatato. Della Juve mi piace il fatto che sia la squadra più amata e allo stesso tempo più odiata d’Italia. Vorrei i miei Zebras sulla stressa cresta d’onda…». 
 
A proposito di Juve, che mi dice di questi primi sei mesi di Thiago Motta? 
«A inizio stagione le mie aspettative erano altissime, perché vedevo una squadra di una solidità difensiva impressionante, ma che doveva solo aggiustare qualcosina in fase realizzativa. Purtroppo poi dopo l’infortunio di Bremer - forse l’unico giocatore insostituibile di questo gruppo - le cose sono cambiate. Con lui in campo la Juve riusciva a chiudere le partite senza tiri subiti in porta. Detto questo, l’obiettivo deve restare la qualificazione in Champions. Parliamo della Juventus, un club che al netto di tutti gli infortuni possibili e immaginabili è programmata per vincere. Thiago Motta sta cercando di imprimere alla squadra la sua identità, ma ci vuole tempo, è presto per i giudizi… Chi mi ha stupito, anche se non ha iniziato nel migliore dei modi, è Thuram. Mi fa impazzire: a livello fisico e balistico è dominante. Piano piano sta venendo fuori la sua qualità. Mi aspetto tanto da lui. Chi invece mi ha deluso fin qui è Douglas Luiz, la Juve ha fatto un grande investimento per portarlo a Torino, ma mi sembra ancora un po’ indietro di condizione». 
 
Comunque vada, c’è sempre Sinner a regalarle grandi soddisfazioni. So che è un suo grande fan... 
«Allora, lo dico: da Jannik quest’anno mi aspetto il primo posto a Wimbledon. Quando ha vinto il primo Slam in Australia un anno fa mi sono tatuato una pallina da tennis con la data della finale. Qualche mese dopo ho avuto la fortuna di incontrarlo e gli ho chiesto una firma all’interno della pallina, così da poter tatuare anche quella. Ora mancano solo il mondiale costruttori della Ferrari e la Champions della Juve. Spero di non dover aspettare troppo…». 

 

 

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