È vero che da quelle parti sono in grado di fare tutto, comprese le piste da sci in mezzo al deserto, ma l’Arabia Saudita resta un posto strano per iniziare a pattinare sul ghiaccio. Eppure Thiago Motta prova l’ebrezza del principiante che si lancia sulle lame, forse un po’ spericolato quando dice: "Voglio vincere. Però per me oggi non è un’ossessione, devo essere tranquillo e convinto della nostra forza. Domani abbiamo una bellissima partita con rispetto verso l’avversario e la voglia di imporre il nostro gioco". Il concetto è inappuntabile e ragionevole, ma è dannatamente poco juventino. E, più in generale, poco da grande squadra.
La Juve e l'importanza della vittoria
La Juventus, da decenni, viaggia con la filosofia bonipertiana. E non quella distorta dello slogan del "vincere è l’unica cosa che conta" (che manco era di Boniperti), ma quella del "Vincere non è tutto, ma la volontà di vittoria sì". E, in questo senso, la vittoria deve essere un’ossessione. Le Juventus, quelle vere, hanno sempre ragionato così e hanno sempre usato quell’ossessione come propellente, senza esserne turbate. I campioni sanno benissimo che non è la sconfitta in sé a farli perdere, ma il modo con cui si giocano la partita. E senza una sana ossessione per la vittoria, si corre il rischio di accontentarsi o arrendersi un centimetro prima o, peggio ancora, di non crederci abbastanza. Il grande scrittore John le Carré faceva dire a una delle sue meravigliose spie un concetto molto simile: "Devi pensare da eroe per comportarti da passabile gentiluomo". E alla Juventus, a questa Juventus, serve un’impresa eroica per vincere la Supercoppa, considerate le circostanze e le condizioni nelle quali è arrivata alla sfida.