Thiago Motta, quel concetto così poco da Juve e il mistero Cambiaso

I bianconeri e il Milan arrivano alla semifinale da un inizio di stagione complicato e con risultati deludenti. Riad è una possibile svolta per due squadre che devono risolvere in fretta i loro problemi

È vero che da quelle parti sono in grado di fare tutto, comprese le piste da sci in mezzo al deserto, ma l’Arabia Saudita resta un posto strano per iniziare a pattinare sul ghiaccio. Eppure Thiago Motta prova l’ebrezza del principiante che si lancia sulle lame, forse un po’ spericolato quando dice: "Voglio vincere. Però per me oggi non è un’ossessione, devo essere tranquillo e convinto della nostra forza. Domani abbiamo una bellissima partita con rispetto verso l’avversario e la voglia di imporre il nostro gioco". Il concetto è inappuntabile e ragionevole, ma è dannatamente poco juventino. E, più in generale, poco da grande squadra.

La Juve e l'importanza della vittoria

La Juventus, da decenni, viaggia con la filosofia bonipertiana. E non quella distorta dello slogan del "vincere è l’unica cosa che conta" (che manco era di Boniperti), ma quella del "Vincere non è tutto, ma la volontà di vittoria sì". E, in questo senso, la vittoria deve essere un’ossessione. Le Juventus, quelle vere, hanno sempre ragionato così e hanno sempre usato quell’ossessione come propellente, senza esserne turbate. I campioni sanno benissimo che non è la sconfitta in sé a farli perdere, ma il modo con cui si giocano la partita. E senza una sana ossessione per la vittoria, si corre il rischio di accontentarsi o arrendersi un centimetro prima o, peggio ancora, di non crederci abbastanza. Il grande scrittore John le Carré faceva dire a una delle sue meravigliose spie un concetto molto simile: "Devi pensare da eroe per comportarti da passabile gentiluomo". E alla Juventus, a questa Juventus, serve un’impresa eroica per vincere la Supercoppa, considerate le circostanze e le condizioni nelle quali è arrivata alla sfida.

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Juve e Milan, come arrivano alla sfida

Un po’ come il Milan che sfiderà stasera nella semifinale più glamour per storia dei club e meno scintillante per forma delle due squadre. Accomunate da un cambio di allenatore in estate, Juventus e Milan hanno vissuto i travagli del cambiamento e le difficoltà di un progetto da iniziare da capo o quasi. Hanno reagito in modo diverso e la prova più eclatante è la presenza di Sergio Conceiçao al posto di Fonseca sulla panchina del Milan, ma hanno lo stesso maledetto obiettivo per la fine della stagione: piazzarsi fra le prime quattro per andare in Champions nella prossima stagione (e magari andare più avanti possibile nella Champions di questa). La Supercoppa non è contemplata fra gli obblighi delle due squadre, ma per come sono messe, può diventare un trampolino importante per rilanciare l’ottimismo e, comunque, chi passa stasera prende una boccata d’aria, chi perde si complica la vita in modo esponenziale. Più che ossessione per la vittoria, forse sarebbe meglio parlare di terrore per la sconfitta, insomma.

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Juve, da dove ripartire

Forse è per questo che Motta ha cercato di aprire la valvola della tensione per scaricarne un po’ di quella accumulata dalla sua squadra, che inizia a sentire lo stress della maglia bianconera. Lo stesso Giuntoli, l’altro ieri, aveva rassicurato il popolo bianconero (di cui ha fatto parte fin da piccolo) sulla bontà del progetto e ha chiesto tempo per riuscire a realizzarlo. Giusto, anzi giustissimo, ma allora il problema non è l’ossessione per la vittoria, ma la necessità di mandare segnali convincenti e continui sui progressi del progetto medesimo. Ai tifosi basterebbe una manciata di punti fermi ai quali appendere la propria pazienza e dai quali far ripartire il loro entusiasmo. Al di là della piaga degli infortuni, infatti, ci sono state scelte di formazione un po’ isteriche e il borsino dei giocatori chiave è oscillato paurosamente.

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Mistero Cambiaso

Per esempio in che ruolo deve giocare Koopmeiners? L’acquisto principale, l’uomo su cui la Juventus puntava per un salto di qualità del centrocampo è stato spostato tre volte, va bene la duttilità, ma se deve diventarne un perno, non sarebbe meglio avvitarlo da qualche parte? Cambiaso è passato dall’essere una risorsa insostituibile all’essere panchinato senza spiegazioni (pubbliche, private non si sa). Vlahovic è un leader a gare alterne. Yildiz un 10 con fiducia a tempo. La stessa squadra è passata dall’essere impenetrabile (anche se un po’ sterile in attacco) a perdere certezze e invulnerabilità difensiva. Servono dei punti di riferimento, una mappa con cui orientarsi nel progetto, capire a che punto siamo e, magari, quanto tempo ci vuole ancora. Che ci sia del buono lo abbiamo intuito tutti (o quasi), il resto si fatica a capirlo. Forse basterebbe spiegarlo un po’ meglio. Oppure vincere, la medicina che cura ogni ossessione.

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È vero che da quelle parti sono in grado di fare tutto, comprese le piste da sci in mezzo al deserto, ma l’Arabia Saudita resta un posto strano per iniziare a pattinare sul ghiaccio. Eppure Thiago Motta prova l’ebrezza del principiante che si lancia sulle lame, forse un po’ spericolato quando dice: "Voglio vincere. Però per me oggi non è un’ossessione, devo essere tranquillo e convinto della nostra forza. Domani abbiamo una bellissima partita con rispetto verso l’avversario e la voglia di imporre il nostro gioco". Il concetto è inappuntabile e ragionevole, ma è dannatamente poco juventino. E, più in generale, poco da grande squadra.

La Juve e l'importanza della vittoria

La Juventus, da decenni, viaggia con la filosofia bonipertiana. E non quella distorta dello slogan del "vincere è l’unica cosa che conta" (che manco era di Boniperti), ma quella del "Vincere non è tutto, ma la volontà di vittoria sì". E, in questo senso, la vittoria deve essere un’ossessione. Le Juventus, quelle vere, hanno sempre ragionato così e hanno sempre usato quell’ossessione come propellente, senza esserne turbate. I campioni sanno benissimo che non è la sconfitta in sé a farli perdere, ma il modo con cui si giocano la partita. E senza una sana ossessione per la vittoria, si corre il rischio di accontentarsi o arrendersi un centimetro prima o, peggio ancora, di non crederci abbastanza. Il grande scrittore John le Carré faceva dire a una delle sue meravigliose spie un concetto molto simile: "Devi pensare da eroe per comportarti da passabile gentiluomo". E alla Juventus, a questa Juventus, serve un’impresa eroica per vincere la Supercoppa, considerate le circostanze e le condizioni nelle quali è arrivata alla sfida.

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