“Allegri mi diede ciò che desideravo”: Juve-Stoccarda, la partita di Khedira

L’ex centrocampista, ’svezzato’ a casa sua, è stato un pilastro bianconero nonostante i troppi infortuni

Lo Stoccarda non è (stato) solo Sami Khedira, ma Sami Khedira è (stato) lo Stoccarda. Per le origini - nato in città da mamma tedesca e papà tunisino - e soprattutto per i trascorsi professioniali, quando il ragazzo a otto anni fu scovato dagli Schwaben (gli Svevi) che stabilirono di ‘allevarlo’ alla loro maniera, fatta di insegnamenti e consigli per coccolarne la tecnica e l’intelligenza calcistica. Insomma, per tirar su ciò che poi sarebbe diventato Sami: visione e previsione, dentro e fuori la partita. E oggi, nel giorno di Juve-Stoccarda con un piccolo pezzetto di ottavi di Champions da ‘addentare’ nei 90 minuti dello Stadium, il pensiero torna a quel centrocampista che, al netto di infortuni che più maledetti non potevano essere, ha regalato calcio.

Il prof Khedira

Ai tifosi tedeschi - dal 2004 al 2010, tra giovanili e prima squadra, Sami ha donato gioie, come il gol del Meisterschale 2007, sette anni prima del Mondiale brasiliano con la Nazionale -, ai bianconeri - sei stagioni vissute costantemente in prima fila, nonostante gli stop di cui sopra, inclusa un’aritmia cardiaca - e pure a quelli di Madrid, sponda Real, prima dell’addio da svincolato alla squadra che in Champions con lui aveva vinto (anche) la Décima, epperò le aveva appena prese proprio dalla Juve. Parlava poco, almeno a microfoni aperti, ma insegnava parecchio il professor Khedira, in un rapporto inversamente proporzionale tra chiacchiere e fatti. Già, quella Juve cui ha dato tanto, talora pure nelle vesti di capitano, al di là di un addio freddo perché, già senza Allegri e salutato Sarri, con l’arrivo di Pirlo trovò la porta chiusa rifiutando di risolvere anzitempo il contratto. E allora ciao, alla prossima.

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Khedira e le parole su Allegri

Ecco, la prossima è stasera, nello Stadium che è stato di Sami, a sua volta assai legato allo Stoccarda nel cui Cda era entrato nel 2022 per un solo anno dopo l’esperienza da calciatore: 154 presenze e 17 gol tra seconda e prima squadra, praticamente altrettante con la Juve, 145-21 la sequenza corretta, con nove trofei (e, ahi, il dolore per la finale di Champions persa a Cardiff) a sostegno della tesi. Quale? Quella che ha sponsorizzato Khedira come il manifesto dell’equilibrio fatto persona, del silenzio che fa comunque rumore, della ricerca del successo che è ragione di vita, di una leadership che l’ex mediano ha acquisito con naturalezza, grazie ai preziosi consigli di ‘santoni’ della panchina, da Allegri ad Ancelotti e Mourinho, colui che spinse per averlo a Madrid. Khedira, la Juve, lo Stadium, ci consentono di evocare ricordi speciali. Quelle amicizie coltivate nel tempo, con Paulo Dybala, con Danilo, con Mario Mandzukic, con Wes McKennie.

Quell’ansia che colpì tutti, addetti ai lavori e non, quando il cuore del tedesco si mise a battere all’impazzata per colpa di un’aritmia atriale. La squadra stava preparando una trasferta di Champions contro l’Atletico Madrid, ma il pensiero correva alla salute di quel ragazzo, barba e pizzetto inappuntabili, la cui vista d’un tratto svanì. Altro che il bianco e il nero, solo nero, fino all’operazione effettuata dallo stesso luminare che aveva operato Lichtsteiner. Amicizie, ansia, ma pure gioia di aver scritto parte della storia bianconera. «Quando la Juve mi chiamò, era campione d’Italia ed era arrivata in finale di Champions. Stava ritrovando l’aura del passato. Parlai con Allegri e lui mi diede il ruolo che io desideravo: quello del leader, che si prende le sue responsabilità». Non quello del bomber, anche se si ricordano volentieri la tripletta di Udine e la doppietta rifilata nel 7-0 al Sassuolo, al pari del gol dal sapore di scudetto dell’1-1 a Napoli, primavera 2017. Altro che ‘lento’, come qualcuno sosteneva non accorgendosi della sua elasticità, di una duttilità mentale che gli permetteva di capire i momenti della partita. L’intelligenza del calciatore ideale.

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Lo Stoccarda non è (stato) solo Sami Khedira, ma Sami Khedira è (stato) lo Stoccarda. Per le origini - nato in città da mamma tedesca e papà tunisino - e soprattutto per i trascorsi professioniali, quando il ragazzo a otto anni fu scovato dagli Schwaben (gli Svevi) che stabilirono di ‘allevarlo’ alla loro maniera, fatta di insegnamenti e consigli per coccolarne la tecnica e l’intelligenza calcistica. Insomma, per tirar su ciò che poi sarebbe diventato Sami: visione e previsione, dentro e fuori la partita. E oggi, nel giorno di Juve-Stoccarda con un piccolo pezzetto di ottavi di Champions da ‘addentare’ nei 90 minuti dello Stadium, il pensiero torna a quel centrocampista che, al netto di infortuni che più maledetti non potevano essere, ha regalato calcio.

Il prof Khedira

Ai tifosi tedeschi - dal 2004 al 2010, tra giovanili e prima squadra, Sami ha donato gioie, come il gol del Meisterschale 2007, sette anni prima del Mondiale brasiliano con la Nazionale -, ai bianconeri - sei stagioni vissute costantemente in prima fila, nonostante gli stop di cui sopra, inclusa un’aritmia cardiaca - e pure a quelli di Madrid, sponda Real, prima dell’addio da svincolato alla squadra che in Champions con lui aveva vinto (anche) la Décima, epperò le aveva appena prese proprio dalla Juve. Parlava poco, almeno a microfoni aperti, ma insegnava parecchio il professor Khedira, in un rapporto inversamente proporzionale tra chiacchiere e fatti. Già, quella Juve cui ha dato tanto, talora pure nelle vesti di capitano, al di là di un addio freddo perché, già senza Allegri e salutato Sarri, con l’arrivo di Pirlo trovò la porta chiusa rifiutando di risolvere anzitempo il contratto. E allora ciao, alla prossima.

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