Lipsia come Dortmund e Fiorentina: se la Juventus prende coscienza...

La vittoria in Champions può essere lo spartiacque della stagione per Motta come una volta avvenne per Lippi

Non è la vittoria in sé, per quanto importante. Neanche il gioco, per quanto ci siano stati sprazzi anche spettacolari. È il modo in cui il 3-2 di Lipsia è arrivato, le circostanze emotive, la tensione con cui ha vibrato tutta la squadra nel superare le difficoltà. È difficile dirlo adesso, anzi è proprio un azzardo, perché la storia si scrive sempre dopo ed è dopo che si individuano meglio i momento di svolta di una stagione o, addirittura, di un ciclo. Eppure, da mercoledì sera, il popolo juventino ha un pensiero che sussurra ricordi del passato e la sensazione di aver assistito a uno di quelle partite lì, di quelle che in cui la storia mette la freccia e se va in un’altra direzione. Degli indizi, d’altronde, ci sono. Per esempio l’impennarsi delle difficoltà nel corso della partita, la cui sceneggiatura sembrava un film di Fantozzi ma che la Juventus ha recitato come fosse Rocky.

Dopo una manciata di minuti perdi, in modo brutale, il tuo difensore più forte, per l’occasione anche capitano. E lo capisci che non è una roba da niente, perché esce disperato. E non è rassicurante quando una montagna di muscoli con il numero tre sulla schiena esce piangendo. Poi esce Nico Gonzalez. Poi segnano gli altri e il loro centravanti sembra la reincarnazione di Van Basten. E infine il rigore solare negato da Letexier senza neppure andare al Var. Alla mezzora del primo tempo ne sono successe abbastanza per arrendersi psicologicamente. E invece la Juventus resta in partita. La gioca tranquilla, senza fretta o nervosismo, sfruttando la tecnica dei suoi giocatori migliori.

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Motta a Lipsia come Lippi a Dortmund

Nella ripresa, alla calma del primo, si unisce una scalpitante ferocia agonistica. E arriva il pareggio di Vlahovic. Un pareggio di rabbia e rapidità. Esultando per il quale, Dusan inizia a gridare: «La vinciamo! La vinciamo». Poi l’espulsione di Di Gregorio e il rigore generoso concesso al Lipsia: sotto di due a uno in dieci contro undici. Ecco, lì è un altro bel momento nel quale abbandonarsi al destino avverso di una serata storta. E invece no. «La vinciamo!», continua a gridare Vlahovic, invasato. E segna un gol da invasato. Un tiro a giro che, in Germania, hanno visto fare ad Alessandro Del Piero nel 1995, quando la Juventus di Marcello Lippi aveva esordito in Champions battendo il Borussia Dortmund al Westfalen, andando sotto e rimontando alla grande con il primo gol “alla Del Piero” europeo. Era l’inizio di una strada che portava (come tutte...) a Roma, alla finale contro l'Ajax, alla Coppa alzata nel cielo sopra l’Olimpico da Gianluca Vialli.

E sul due a due, in inferiorità numerica, la Juventus di Lipsia non si è chiusa a difendere quella che sarebbe stata comunque un’impresa. Come la Juventus del 4 dicembre 1994, che era andata sotto di due gol contro la Fiorentina, li aveva rimontati con una doppietta dello stesso Vialli che non aveva dissetato la squadra, andata all’arrembaggio fino al gol, meraviglioso, di Del Piero. L’urlo stracciagola che ha suscitato l’invenzione di Chico Conceiçao per il 3-2 di Lipsia aveva lo stesso profumo di quell’altro 3-2, di esattamente trent’anni fa. Se è solo profumo o qualcosa di più lo sapremo fra qualche mese, nel frattempo si può solo registrare che quando si vince in mezzo a mille difficoltà, stringendo i denti e non solo, si prende coscienza della propria forza, si scacciano paure e timidezze, si inizia a crederci.

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Non è la vittoria in sé, per quanto importante. Neanche il gioco, per quanto ci siano stati sprazzi anche spettacolari. È il modo in cui il 3-2 di Lipsia è arrivato, le circostanze emotive, la tensione con cui ha vibrato tutta la squadra nel superare le difficoltà. È difficile dirlo adesso, anzi è proprio un azzardo, perché la storia si scrive sempre dopo ed è dopo che si individuano meglio i momento di svolta di una stagione o, addirittura, di un ciclo. Eppure, da mercoledì sera, il popolo juventino ha un pensiero che sussurra ricordi del passato e la sensazione di aver assistito a uno di quelle partite lì, di quelle che in cui la storia mette la freccia e se va in un’altra direzione. Degli indizi, d’altronde, ci sono. Per esempio l’impennarsi delle difficoltà nel corso della partita, la cui sceneggiatura sembrava un film di Fantozzi ma che la Juventus ha recitato come fosse Rocky.

Dopo una manciata di minuti perdi, in modo brutale, il tuo difensore più forte, per l’occasione anche capitano. E lo capisci che non è una roba da niente, perché esce disperato. E non è rassicurante quando una montagna di muscoli con il numero tre sulla schiena esce piangendo. Poi esce Nico Gonzalez. Poi segnano gli altri e il loro centravanti sembra la reincarnazione di Van Basten. E infine il rigore solare negato da Letexier senza neppure andare al Var. Alla mezzora del primo tempo ne sono successe abbastanza per arrendersi psicologicamente. E invece la Juventus resta in partita. La gioca tranquilla, senza fretta o nervosismo, sfruttando la tecnica dei suoi giocatori migliori.

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